Esiste la persona cattiva?

Esiste la persona cattiva?

Certamente esiste. Ci sono persone che appaiono insensibili, per nulla empatiche, glaciali, indifferenti e disumane, egoiste, materialiste, menefreghiste, dirette solo verso i loro interessi, qualunque essi siano e infine molto crudeli, capaci di gioire del male altrui e di procurarlo.

Dal mio punto di vista, due sono le emozioni fondamentali per riconoscere e spiegare la cattiveria umana: l’invidia distruttiva e la vendicatività. Tali emozioni sono spesso avvolte dalla stupidità e dalla ottusità.

Insieme creano e innescano una bomba micidiale dalla cui deflagrazione derivano miopismo psicologico, ristrettezza mentale, egoismo, egocentrismo, indifferenza, crudeltà, sadismo, ecc.

La stupidità non permette alle persone potenzialmente cattive, di aprirsi e comprendere gli esseri umani, identificandosi con gli altri simili e mettendosi nei loro panni. In altre parole non c’é in loro empatia, introspezione, cioè capacità di sentire le connessione psicologiche che si muovono a livello emotivo nel proprio mondo interno, né la capacità di stare con l’altro accettare la realtà umana.

Mi direte che molte persone crudeli, e criminali, assassini spietati, appaiono intelligenti: a mio parere non lo sono. L’intelligenza consiste nella capacità di aderire alla realtà contestuale e di avvantaggiarsi di una certa flessibilità mentale al fine di amministrare le cose umane.

L’intelligenza del cattivo è data dallo sviluppo dell’invidia distruttiva e della vendicatività.

Tali forti emozioni tanto arcaiche quanto primitive portano il cattivo, il crudele, il malvagio a inventare strategie atte a danneggiare e a procurare dolore nell’altro: si tratta di un tipo di velocità della mente creciuta che è stata appresa e sviluppata a livello cognitivo e nient’altro.

La persona veramente intelligente é sempre costruttiva e mai pensa che gli convenga diventare distruttiva oppure invidiosa o vendicativa. Quale vantaggio ne ricaverebbe realmente?

L’empatia è una capacità innata, sebbene ci siano importanti variazioni personali e la comprensione dell’altro non è frutto solo di sforzo intellettuale, ma dell’attività di precise aree cerebrali che ci rendono più o meno sensibili e attenti verso gli altri. L’amigdala quella piccola porzione collocata nel sistema limbico del cervello prefrontale tra l’ipotalamo, ipofisi, cingolo e le interconnessioni limbiche é deputato al centro delle emozioni. Le emozioni si esprimono con l’ausilio dei neurotrasmettitori buonicome le endorfine, la serotonina. Nel sistema limbico vivono anche i neurormoni dell’aggressività, cioè le catecolamine, senza le quali non potremmo sopravvivere perché non sapremmo come difenderci emotivamente dai gravi pericoli della vita.

La costituzione fisica che influenza in noi il funzionamento sia neuronale sia psichico non basta a giustificare la crudeltà e cattiveria. Se l’empatia è importante per i contatti sociali e la condivisione della sofferenza altrui. Alcune situazioni mentali, come la depressione bipolare psicotica, alcune droghe potenti, come captagon, cioè il cloridrato di fenetillina, possono influenzare negativamente il cattivo deprimendo l’intelligente, trasformandoci come il dott. Jackie e mister Hide.

I traumi psichici, le forti delusioni, possono contribuire negativamente ad assumere un tono diffidente e spesso atrocemente sadico e vendicativo.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Un commento

  1. Raffaella Buttazzi

    Mi incuriosisce e in parte mi fa ben sperare conoscere la rilevanza della vendicatività e dell’ invidia in una persona cattiva, poichè mi domando se possibile comprenderla e, qualora desiderato, produrre un se pur lieve cambiamento emotivo?

    Ancora rifletto sulla natura innata e soggettiva dell’empatia, perchè mi sembra, anche da ciò che leggo, che si affianchi positivamente all’intelligenza: forse questa proficua integrazione dovrebbe essere più riconosciuta e quindi meglio spesa in ambito lavorativo e formativo, oltre che personale?

    Che occora, allora, forse non temere la propria aggressività per esprimerla utilmente nel dialogo emotivo?

    Raffaella

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