Secondo quel che ho osservato nel tempo, l’idea di sfogarsi lamentandosi per quel che non va nella propria vita o nella quotidianità non aiuta chi si lamenta.
Penso che sia normale e socievole aprire il proprio animo con persone con le quali esiste una certa confidenza, non nascondendo situazioni accadute che generano in noi stessi stati d’ansia e preoccupazioni. Si tratta di aggiornare i nostri amici e avere qualche volta un incoraggiamento, un consiglio. Non è vantaggioso in generale essere chiusi, difesi, mantenere indifferenza stoica verso il mondo.
Prendere l’abitudine di lamentarsi, sfogarsi, è un’altra cosa. In questi casi, chi cerca la catarsi, cerca amici e conoscenti, in fondo per rovesciare su gli altri ciò di cui si vuole liberare. Tale atteggiamento negativo impedisce agli altri di empatizzare con chi soffre di emorragia di parole intrecciate con il pensiero negativo, per confortare il lamentoso, perché gli altri s’accorgono che il loro sforzo sarebbe inutile: si sentono usati e gettati via, quando il problema del lamentoso è risolto. Accade spesso a chi si lamenta, che allo stesso tempo non ascolti gli altri, annullando lo spirito di reciprocità, e quindi non consenta uno scambio affettivo e psicologico. Gli altri consolatori si sentono dopo un po’ di tempo, usati come cloaca.
Diventa utile comprendere inoltre, che chi si lamenta o cerca di sfogarsi può creare in se stesso una situazione immaginaria con la quale evoca automaticamente e, a livello inconscio, una relazione con un interlocutore illusorio e inesistente nella realtà: questo interlocutore immaginario dovrebbe salvare il lamentoso dai propri guai o farlo sentire in una situazione libera da ogni responsabilità.
Il lamentoso quindi si proclama sconfitto, si mette in una posizione rituale di subordinazione passiva e di resa di fronte alle difficoltà e tenta di sedurre l’altro, forse concepito come un genitore potente per consegnargli ciò che egli non sopporta. L’interlocutore immaginario potrebbe essere presente sotto forma di amico o conoscente oppure non esserci nessuno nella situazione immaginaria. In tal caso il soggetto lamentoso scopre la propria melanconia o depressione.
In altre parole, la scelta inconsapevole di crogiolarsi nell’oceano della negatività genera un circolo vizioso che fa sprofondare ulteriormente con il rischio di affogare
Il neurologo Josef Breurer e lo stesso Signumd Freud per quasi otto anni, dopo il 1886 tentarono prima con l’ipnosi, e poi con il metodo catartico, abreativo (talking cure, chimney sweping) di liberare le pazienti isteriche dai sintomi che le affliggevano, facendole parlare, parlare al crepuscolo di ogni giorno. Lì per lì, le pazienti stavano meglio con i sintomi, ma non guarivano per niente. Finita la cura in virtù della riduzione o scomparsa dei sintomi, per convinzione di Breurer, le pazienti, però a breve ritornavano dal medico, più ammalate di prima. Il bisogno del medico si era in loro così rafforzato e così la dipendenza da lui. Freud in seguito, comprese che era la relazione medico-paziente che andava analizzata e che il metodo catartico non poteva sciogliere il legame che si era riprodotto sulla figura del medico stesso. In seguito Freud chiamerà tali affetti transfert o traslazione.
Certo che il metodo catartico non corrisponde esattamente al lamento continuo di cui abbiamo sin qui trattato, ma suggerisce, tuttavia l’inutilità dello sfogo.
Il neurologo e psicologo Steven Parton, ha trovato alcuni motivi anche neurologici per i quali secondo lui è pericoloso per il nostro cervello e per il nostro corpo lamentarsi.
I pensieri negativi negativi chiamano pensieri negativi. I neuroni del cervello umano sono connessi tra loro tramite le sinapsi, gruppo di cellule nervose separate dal cosiddetto spazio sinaptico.
- I pensieri che nascono nel nostro cervello attivano varie sinapsi che si connettono tra loro,
- edificando o un ponte attraverso il quale vengono inviate le informazioni.
- Il cervello che è piuttosto plastico, sembra che si adegui al funzionamento dei vari pensieri
- caratterizzati dalla negatività e dalla frequenza nel nostro cervello con cui si ripetono.
- Il cervello costringe le coppie di sinapsi a seguire ciò che è diventato, per così dire familiare,
- poiché le sinapsi stesse si sono gradatamente ravvicinate e
- Quando nascono nuovi pensieri, potrà esser più probabile che avvenga che i nuovi seguano la coda
- degli altri, con maggior velocità, perchè sarà più probabile che le sinapsi, che già sono ravvicinate
- tra loro, funzionino come calamite.
- Secondo Parton frequentare persone pessimiste aumenterebbe anche il pessimismo stesso.
- Nelle varie relazioni sociali, i pessimisti sono in grado di influenzare chi non lo è, generando l’allontanamento empatico, perché gli interlocutori che ascoltano s’identificano grazie alle sinapsi
che tendono a accomodarsi all’evocazione negativa di certi lamenti e di alcuni sfoghi del pessimista.
Sappiamo inoltre già che lo stress quando è eccessivo, indebolisce il sistema immunitario favorendo l’insorgere di alcune malattie. La pressione arteriosa si alza e aumenta il rischio di alcune malattie cardiovascolari e del diabete. Il cortisolo che serve a ridurre il dolore nel corpo, però, insieme a altre catecolamine, del tipo di adrenalina, dopamina ecc, attaccano l’organismo e lo danneggiano .
L’ottimismo sembrerebbe intervenire in aiuto alla salute: meglio evitare i pessimisti e non sfogandosi come unica soluzione di fronte alle difficoltà.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Penso che essere a conoscenza degli effetti del pensiero pessimista e della abitudine al lamentarsi continuamente potrebbe aiutare, forse, una salute della mente e del corpo, suggerendo a chi tende ad essere lamentoso l’inutilità dannosa di un atteggiamento manipolativo ed inconscio.
Ma che dire di coloro che si pongono più volte come ascoltatori di queste persone?
Potrebbe esistere anche in questo caso una certa forma di reciprocità emotiva?
Raffaella