In Italia e altri Paesi europei non esistono leggi in vigore che siano denominate come violenza domestica.
Poiché i reati come maltrattamenti, percosse, abuso dei mezzi di correzione, violenza privata, sequestro, violenza sessuale, qualunque tipo di omicidio come omicidio stradale e addirittura dovuto a eccesso di difesa, poi femminicidio, maschilicidio, matricidio e patricidio, infanticidio e poi cyber-bullismo manipolativo e istigazione al suicidio, ecc.
In Russia la Duma ha depenalizzato la violenza domestica, intervento giuridico che non avrebbe per il resto dell’Europa tanto senso, anche se si suppone che in Russia, tale tipo di violenza sarebbe contemplata tra quelle esistenti. Il provvedimento eliminato dalla Duma depenalizza una fattispecie precisa, quella di percosse non gravi che non corrispondano all’omicidio in famiglia.
Spero che la violenza domestica non riguardi i coniugi, nel senso che non sia stata sancita come educazione di moglie e marito.
Questo spunto ci fa riflettere su il punto di vista educativo, connesso con l’etica di quel periodo .
Sino a settanta anni fa era anche in Europa e particolarmente in Italia era ammesso che i genitori potessero percuotere i propri figli proprio quando era considerato necessario rinforzare un comportamento corretto per educare a dovere. Anche gli insegnanti e educatori avevano il diritto di intervenire con forza e punendo fisicamente i ragazzi disubbidienti. Percuotere spaventava e costituiva un deterrente per frasi obbedire senza fiatare. In famiglia succedeva spesso che i padri autoritari mostrassero di mettere mano sulla propria cintura dei pantaloni, la cinghia, cosicché i figli si spaventavano perché si sentivano minacciati dal subire sculacciate.
Nell’ottocento e ai principi del secolo, la sculacciata era la norma nell’educazione, ma picchiare dando botte ovunque era considerata una punizione adeguata.
C’è chi sostiene ancora oggi che quello era considerato il metodo migliore per ottenere disciplina.
Sostengono alcune persone: se si potesse usare sistemi convincenti, non ci sarebbero tanti ragazzi fannulloni, bamboccioni, indisciplinati, ribelli che si vestono con vestiti straziati, tatuati all’inverosimile nel corpo, acconciati nei capelli in modo rovesciato e che girano per le strade sfidando il mondo….
Ciò che mi sembra grave non lo considero tanto dall’idea del danno fisico ricevuto che potrebbe esser più simbolico che lesivo, ma è presentato dal modello che si offre loro con questi atti.
La violenza diventa un insegnamento assorbito dai ragazzi che non verrà mai veramente dimenticato. Nel recente passato, l’educazione basata sul timore dello schiaffo fisico non sembra aver per lo più prodotto gravi danni psicologici, forse anche perché c’era una compatibilità con il contesto storico. Alcune maestre non hanno perso l’abitudine convinte comunque che certe scosse fisiche siano più utili che altro. In realtà, si è sempre trattato di scarsa professionalità delle maestre stesse e loro intemperanza nei confronti di ragazzi. La loro disobbedienza aumentava proprio per un’educazione sbagliata e per perdita di autorevolezza e di credibilità e del senso d’importanza alla’appartenenza alla scuola. E’ stato invece proprio tale tipo di comportamento che ha alimentato un circolo vizioso che portava a una degenerazione dell’educazione stessa e alla inaffidabilità e debolezza delle maestre.
La società è abbastanza violenta, e solamente la credibilità, la autorevolezza che si basa sulla sincerità, chiarezza e onestà del comportamento permette una riduzione di una mentalità aggressiva e vendicativa e invece un aumento della collaborazione e dello scambio costruttivo.
I ragazzi non debbono sentirsi umiliati o frustrati da percosse, ma esser motivati alla spontanea creatività che nasce solo in un contesto giusto e coerente.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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