Questa mia considerazione non ignora le difficoltà pratiche che invece sono connesse al divorzio stesso come tale, particolarmente quando in famiglia sono nati figli: per esempio esiste la paura che i figli ne soffrano, pratiche complesse, anche economiche con avvocati e giudici, burocrazia estremizzata, specie se non c’è accordo nelle coppie e vi la necessità di un procedimento giudiziale. L’aspetto economico penalizza non poco perché considera anche e sopra tutto l’assegno che deve coprire anche il mantenimento dei figli. Se la coppia si trova in un regime economico asimmetrico economicamente, il più forte dei due, di solito l’uomo, deve spolparsi nelle sostanze per garantire alla moglie e figli la medesima qualità della vita precedente. A volte ciò non è nemmeno possibile considerando la povertà di tante persone nel nostro Paese.
Le mie riflessioni, come è ovvio che sia, considerano il problema, solo sotto l’aspetto psicoanalitico della separazione di coppia ed eventualmente, del divorzio.
Gli adulti sperimentano la separazione come rottura, spesso con buon civile accordo e quindi la separazione è sentita come poco traumatica e dolorosa, ma non sempre avviene ciò, laddove, almeno alla fine di un rapporto importante, non prevale e non vigere la filosofia della comprensione reciproca tra i coniugi.
Se il desiderio vincente va nel senso della libertà di entrambi, sapendo, senza tanta ambivalenza accettare la realtà adulta, spesso per coinvolgersi eventualmente in nuove relazioni sentimentali o per vivere un senso d’indipendenza come single, tutto bene!
A volte come sappiamo, avviene il contrario, la guerra è intensa e drammatica, i figli sono coinvolti, spesso strumentalizzati, in parte inconsapevolmente ricattati e per tutta la vita possono rimanere all’interno della coppia conflitti che sembrano non risolversi mai completamente.
La famiglia è paragonabile come un contesto teatrale complesso, un romanzo rappresentato come commedia o come dramma, perché dopo un po’ di tempo, vengono immesse da parte di entrambi gli sposi, tutti presupposti culturali che ciascuno porta con sé da quando è nato.
S’immettono valori, rituali, ideologie, abitudini, sentimenti strani di orgoglio, metodologie per affrontare le difficoltà della vita, aspetti caratteriali, modi d’esprimere l’amore, l’odio, la scarsa pazienza. Tutti questi aspetti si depositano all’interno della relazione o meglio nel rapporto.
Ci sono probabilmente tanti amori differenti in ciascuna delle coppie, anche se alcuni andamenti sono raggruppabili in tipologie particolari. Comunque accade che certe abitudini stereotipate esacerbino i partner facendo rivivere comportamenti dei genitori e tocchino parti bambine di se stessi , cioè del passato, e che fanno rievocare situazioni tanto confuse quanto deprecabili.
Antiche esperienze che non solo non si sciolgono e non vengono digerite, ma al contrario vengono rivissute negativamente attraverso l’altro coniuge.
Ho osservato che la separazione dei coniugi in una coppia senza figli è psicologicamente più difficile. Ci si può sentire in colpa verso l’altro che si abbandona il quale lamenta di sentirsi abbandonato ingiustamente.
In effetti, in media, si diventa più soli, perché non ci sono figli che ammortizzino il colpo traumatico del dividersi per sempre dal coniuge, salvo che non vi sia un rancore talmente espresso nella coppia da invocare solo la libertà a qualunque prezzo dove l’abbandono non è percepito.
Senza figli la coppia può morire per sempre, la famiglia non esiste più. La separazione riporta alle origini e sembra di non aver costruito niente, ma di ritornare alla prima infanzia, quando magari si soffriva di solitudine e di poca attenzione da parte dei genitori. Se chi si separa dal coniuge non ha condiviso l’infanzia con fratelli e sorelle, perché figli unici, l’angoscia abbandonica può essere più forte.
Molti tra ex coniugi, se durante il matrimonio non hanno allacciato amicizie valide, alcuni di loro sentono di non sapere a chi rivolgersi per non sperimentare l’essere travolti dal vuoto catastrofico.
I femminicidi e i suicidi che includono la morte della compagna possono avere qualcosa che, al di là dell’atto criminoso di pertinenza della Magistratura, le loro cause scatenanti di tal tipo, potrebbero essere spiegate in tal modo cioè con l’immane fragile di un uomo che si vede perduto per sempre.
Chi si separa dal coniuge ed è vissuto in una famiglia generando figli, non perde psicologicamente e veramente la famiglia, perché in un modo o nell’altro, avrà contatto con prolungamenti del passato familiare che divengono sempre attuali e presenti, grazie alla presenza e crescita dei figli stessi che si incontrano comunque, per quanto complesso il rapporto si stato e continui ad esserlo. Virtualmente la famiglia continua a esistere se non altro per amore dei figli, ma anche, sempre virtualmente per i genitori che si incontrano regolarmente.
In altre parole, la casa famiglia, sia quella d’origine, sia quella seconda, quella che si è costruita da adulti, continua a permanere, più o meno inconsciamente, nel mondo interno, seppur con eventuali conflitti manifesti.
La madre arcaica, naturalmente inconscia, ci accompagna sempre e per quanto cattiva o buona, magari sotto forma di famiglia-casa-moglie (vale anche per la donna) rappresenta qualcosa che si è fatto, magari di cui ci si è pentiti, ma esiste e non rappresenta il nulla assoluto.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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