Quando un’amica/o s’ammala anche con piccoli disturbi, come cefalee passeggere o anche serie, tende, senza saperlo, a far sentire in colpa chi gli sta vicino. Se la malattia è seria e importante le persone che sono a te affettivamente vicine si sentono ancora più in colpa.
Certo che come diceva Freud con il cosi detto vantaggio secondario della malattia chi è in fase di essere curato, normalmente riceve da amici, dalla famiglia o parenti, medici e infermieri una attenzione e cura particolare.
Purtroppo le cose non vanno sempre allo stesso modo specialmente quando si è adulti, in condizioni sociali particolari e sfavorite. A volte anche i bambini non sono sufficientemente curati per problemi connessi con la famiglia.
La malattia e le convalescenze possono cambiare le relazioni con gli amici, parenti ottenendo vantaggi che non si potrebbe ottenere in altri casi .
Naturalmente chi si ammala sta poco bene e può soffrire molto e questo non è certo un vantaggio.
In qualche caso la sofferenza, il senso di vomito, la febbre alta, dolori influenzali vengono ripagati con l’attenzione, le carezze, un affetto colpevole da parte di chi ti assiste.
La passività che l’essere malati implica, evoca una specie di richiamo alla legittimazione di una particolare condizione fisica e psicologica, una richiesta di riconoscimento che può accarezzare un bisogno egocentrico, sia nei bambini, sia negli adulti.
In tal caso la dipendenza da chi ci cura o ha il potere di guarire diventa legittima, non fa sentire deboli di carattere e dipendenti perché già si è deboli come stato fisico.
In seguito e durante la cura, possono emergere, all’interno delle varie relazioni, alcune tensioni psicologiche. Colui che si prende cura costante e assiste in modo routinario potrebbe sentirsi in colpa di fronte a proteste del malato che si lamenta del disagio o sofferenza e implicitamente accusa coloro che assistono come se fosse colpa loro perché i sintomi non passano. La relazione di cura attraversa un periodo critico.
Insomma, se in qualche caso la malattia è a livello inconscio, usata dal malato per godere di una posizione dove prevale l’attenzione primaria attraverso il corpo richiedente, con il passare del tempo può diventare teatro di conflitti antichi, di intemperanza molesta e lamentosa.
In alcuni casi, l’esperienza può essere complessivamente positiva, perché le relazioni con coloro che si prendono cura del malato aiutano l’assistito ad elaborare molti aspetti personali di egocentrismo e a comprendere che tu non hai diritto a tutto e anche a imparare a essere sperimentare gratitudine verso chi ti sta aiutando.
I vantaggi della malattia non sono veri vantaggi naturalmente, perché la malattia rappresenta oggettivamente un inconveniente indesiderabile: i vantaggi immaginati del malato sono l’espressione di alcuni bisogni un po’masochistici nel senso che egli è stato per lungo tempo costretto a subire passivamente alcune pressioni o nel lavoro o nella vita affettivi, spesso di solitudine.
Il bisogno di interrompere questo stato, gli fa pensare alla malattia come ricerca di attenzione, di riposo di piccolo inconscio ricatto verso chi non si è occupato di lui o lei e non lo ha visto a sufficienza come se egli che si ammala non avesse tanta importanza.
Gli eventi negativi, specie quando accadono uno dopo l’altro, possono portare a ridurre lo stress e le responsabilità troppo pesanti che arrecano, rifugiandosi nella malattia.
La malattia può offrire occasioni psicologiche di comprendere il funzionamento delle relazioni interpersonali e favorire la trasformazione e di introspezione di dinamiche che non erano mai state comprese sia in sé stessi sia negli altri.
Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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