Come ormai tutti sanno, i selfie sono autoritratti digitali realizzati con uno smartphone o un tablet, per essere incamerate come ricordi di particolari situazioni sotto forma di immagini di sé in ambienti e/o accanto a persone considerate importanti.
Tali foto immagini possono poi essere inviate sempre attraverso lo smatphone a chi ne possiede uno simile.
Si stabilisce spesso una conversazione di immagini, di selfie appunto, che insieme a fotografie tradizionali scattate sempre con lo smartphone può essere divertente e che può permettere di stupire chi li riceve.
Oggi tale divertimento per i selfie si è diffuso in tutto il pianeta e può essere considerato uno dei tratti con cui i giovani si distinguono nelle abitudini e nel modo di pensare.
All’incirca durante la metà degli anni duemila si diffonde tale moda e abitudine che alimenta la voglia di condivisione con altri, anche sconosciuti, del proprio stile e della propria vita e il desiderio di far partecipare orgogliosamente molta gente includendole nelle proprie esperienze. Si tratta di una voglia esagerata, ma accettabile.
Spesso gli specchi sono diventati compagni riflettenti immagini sulle espressioni originali del proprio viso, sul quale atteggiamenti, deformazioni artificiali delle espressioni, duck face (viso ad anatra) nonché comportamenti sexy, persino pornografici, sono esibiti.
Oggi i selfie di gruppo non mancano mai nelle cene significative, nelle feste durante i compleanni.
Nelle piazze dei luoghi turistici sono in vendita le aste sulle quali si istallano gli smartphone per i selfie, che permette di tenere il telefono alla giusta distanza, migliorando la qualità dello scatto che non deforma più come quando invece il telefono è tenuto troppo vicino.
Alcuni autoscatti sono già diventati icone, come quello realizzato dall’astronauta Mike Hopkins, che fotografò se stesso nello spazio lontano dalla terra.
Cosa ne penso?
Penso che realizzare e mantenere diverse foto di se stessi sia positivo: ci si abitua ad aver un’immagine realistica e abbastanza oggettiva di se stessi e che le foto contribuiscano a ricordare la propria storia nei propri annali biografici, cioè le propria immagina che migliora o peggiora con il tempo.
Spesso ci sono state poche occasioni di immortalare le proprie immagini nella propria vita passata quando le vecchie macchine fotografiche a pellicola non erano sempre a portata di mano e poi si richiedeva che qualcuno, magati di passaggio, ti rendesse gentilmente il servizio.
Spesso le foto documentano eventi stradali, crimini, furti e aiutano le forze pubbliche laddove ce ne è bisogno.
Quindi ben vengano le foto e quindi anche i selfie!
Può diventare un problema del Self quando l’occasione divertente, e spesso anche utile, trasforma il soggetto protagonista in persona compulsiva. Il linguaggio conversazionale delle immagini curiose e originali si intensifica enormemente sino a vivere la giornata intera fotografando se stessi e gli altri.
Anche i selfie possono diventare oggetti compulsivi che trasformano i giovani come dipendenti ad oltranza verso un disturbo narcisistico dell’immagine che regna su tutto e che cancella gli obiettivi importanti che in realtà si vorrebbero raggiungere, facendo prevalere soltanto il profilo estetico delle persone e cose.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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