Se incontro un ex compagno di scuola, praticamente un ex amico, e dopo diversi anni che non lo vedevo lo riconosco nonostante sia diventato quasi completamente calvo, potrei inizialmente rimanere impressionato, riprendendomi subito pensando che effettivamente son passati diversi anni e che l’alopecia androgenetica è comune a molti uomini, in pratica comunque non si nota più dopo un attimo.
Oppure potrei pensare: era un così bel ragazzo quando frequentavamo la scuola! Guarda oggi, quasi non lo riconoscevo più! E’ proprio brutto! inguardabile! Ma io i capelli ce li ho ancora, però… però… potrei ancora perderli.
Ecco che alla sola idea di diventare calvo, sono preso dall’angoscia.
In questo secondo caso, sono spaventato al contatto con l’ex amico, sono imbarazzato, gentile, ma scostante, non riesco a guardarlo negli occhi, mi sento inibito nel dire quel che mi sarei aspettato di volergli dire.
In realtà, l’amico non è affatto brutto e la mancanza di capelli non altera il suo viso, anzi forse ci guadagna, come capitò all’attore Yuil Brynner,.
Succede che quel Me si deve difendere dal timore di mettere a repentaglio la propria identità nel caso del fantasma-spauracchio di possibile perdita di capelli.
E’ come dire: io sono me stesso solo se ho i capelli in testa, se li perdo non sono più me!
Ecco che allora mi rivolgo all’ ex amico, all’ex compagno di scuola, divenuto quasi un estraneo, gentilmente come se fossi interdetto, inibito, forse lo compatisco e mi affretto quasi ad assumere un atteggiamento di scuse perché debbo mascherare le mie paure, le mie critiche, la mia disapprovazione di esser diventato calvo, essendo proprio sconcertato di fronte alla sua calvizie.
Oppure, potrei nella conversazione, diventare aggressivo, sentirmi superiore per trovare in lui un capro espiatorio del brutto, del cattivo, del male, come fanno molti bulli.
Potrei prenderlo in giro, schernirlo, svalorizzarlo, per esempio indovinando che con le donne non avrebbe molta fortuna rispetto agli altri amici, magari contemporaneamente guardandogli la testa calva alla Yul Brynner.
In tutti i casi quel che farei consisterebbe nell’allontanare il mio timore di diventare calvo perché mi sembrerebbe di perdere di colpo e totalmente la mia identità.
L’eccessiva controllata tolleranza simulerebbe un raffinato disprezzo, come qualcuno ha compreso, forse lo stesso Pasolini, quel disprezzo che camuffa la pietà.
Effettivamente quando gli omosessuali ai tempi ancora del grande regista e letterato Pasolini erano costretti a non rivelarsi, prevaleva in alcuni di loro un rossore del viso, forse di vergogna, forse per desiderio di esprimersi liberamente o per paura allo stesso tempo di essere scoperti nella loro intimità.
Tra l’omosessualità le donne gay, cioè lesbiche, erano meno vergognose, anzi a volte si esibivano ed erano certe di non perdere comunque la propria identità di genere. Alcune donne pur rimanendo nell’ombra, ci tenevano a dichiarare il loro interesse sessuale anche per gli uomini. Altre donne invece mostravano dispregio per il sesso maschile.
Gli uomini gay, storicamente, erano condannati dalla Chiesa come pervertiti, erano sviliti dalla medicina ufficiale e dalla gente in genere che li denigrava escludendoli, dovevano fingere di non esistere.
In seguito quando Freud assolvendoli completamente li denominava come invertiti da comprendere e di cui prendersi cura, la società gradatamente prese ad aprire la mente.
E’ un po’ comprensibile che persone che abbiano accumulato un po’ di anni, siano restie a sgravarsi di vecchi pesi e pregiudizi derivati da un mondo secolare contro gli omosessuali.
Ma i pregiudizi, e appunto l’omofobia, resta ancora forte oggigiorno.
I pregiudizi bloccano le persone nel timore di svelare troppe emozioni che porterebbero a debolezza maschile, dipendenza, mancanza di virilità, passività, mentre spesso nel mito dell’uomo prevale l’idea del machismo, dell’esuberanza maschile.
Ma anche nell’omosessualità sono cambiate molte modalità di carattere, neutralizzandosi le differenze che nella coppia eterosessuale vedeva la donna passiva e l’uomo attivo.
Queste modalità espressive comportamentali sono esattamente uguali tra due uomini e tra due donne.
Lo sconvolgimento di natura (personalità maschile e femminile), il disordine, la paura trasformata in odio, lo smarrimento d’identità di un tempo temuto a causa dell’omosessualità non rappresenta più un problema di oggi.
Dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei, non vale più tanto nella società.
E’ l’omofobia la malattia, non più l’omosessualità.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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