Dopo le vacanze, non si fa altro che parlare del trauma da rientro vacanze, che io stesso ho già sottoscritto in passato numerose volte, anche quando sembrava una osservazione di esagerata annotazione.
Non lo era, né lo è a tutt’oggi!
Questo accade perchè molte persone in vacanza possono entrare in uno stato mentale di presunto meritato riposo psichico e coinvolgersi non solo con la bellezza dell’esperienza in sé, ma anche con una richiesta di risarcimento morale.
Inconsciamente si fondono con l’esperienza dei guadagnati giorni goderecci che stanno trascorrendo e dei quali hanno effettivamente bisogno e dai quali non vorrebbero più separarsi.
Poiché ne stanno godendo, implicitamente si lamentano di doversene staccare per tornare alle solite rinunce che la vita lavorativa impone.
Ma ci sono persone che allontanarsi da casa si sentono a disagio. Ne conosco tante alle quali ho rivolto loro la domanda: non vai in vacanza?– rispondendomi – ma sai, potrei, ma si sta bene anche a casa propria… Come criticare o contestare?
So anche che in certe circostanze queste persone si allontanano da casa al massimo per due giorni e se potessero, limiterebbero il loro allontanamento ad un solo giorno, dalla mattina alla sera.
E’ come se sentissero un pericolo nello stare lontano da un polo materno che controllano da sempre e l’avventura di adattarsi ad altre abitudini, seppur prevedibili, generasse un senso di smarrimento.
Alcune persone loro malgrado, accettano di fatto di condividere periodi di villeggiatura con la famiglia, specialmente quando figli e consorti lo desiderano fortemente.
I posti di villeggiatura sono scelti opportunamente e i giorni sono quasi sempre molto ristretti a una settimana o poco più.
Dopo i primi giorni comincia però in queste persone la smania per la voglia del rientro a casa.
Resistono nel luogo di vacanza secondo i patti familiari, ma contano le ore per tornare a casa. Non si divertono, nel senso anche di distrarsi nel nuovo posto, seppur bello e interessante.
Spesso però le ragioni della voglia di tornare dipende da conflitti familiari, da disagi logistici incontrati nel luogo di vacanza, dal non sentirsi bene fisicamente, dall’accorgersi dell’alto costo della permanenza, dal non gradire il luogo e dall’essere sfortunati per via del tempo atmosferico, ecc..
Rimane a mio parere prevalente però la mancanza di motivazione a sperimentare situazioni nuove, il contrario metaforico del gusto della novità di Ulisse, Marco Polo, C. Colombo e tanti altri pionieri.
Si potrebbe riferire ad uno shock da allontanamento da casa anche se non si tratta di sintomi di agorafobia.
Ad alcune persone le novità non piacciono, perchè non si possono controllare e non si conoscono, e rinunciare alle comodità che solo le abitudini per la loro continuità offrono psicologicamente agli individui è sgradito.
La continuità, l’abitudine, la prevedibilità degli eventi, ma anche dei cibi nei ristoranti, degli alberghi, delle gite, degli spettacoli, rassicura, mentre la novità potrebbe riservare sorprese sempre un po’ impegnative.
In definitiva, per alcune persone ogni novità ha un costo di adattabilità a linguaggi leggermente diversi, per dir poco!
Occorre un po’ mettersi in gioco e molta gente non ne ha voglia, non rischia il noto per l’ignoto, anche se in vero, otterrebbe vantaggi a volte notevoli. Dico che se non si rischia un po’ non si rosica niente.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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