Il Viennese psicoanalista René Spitz negli anni 60 studia e osserva sperimentalmente il comportamento del neonato.
Egli nota che durante i primi due anni di vita si possono distinguere nello sviluppo infantile tre organizzatori psichici che possono essere considerati indicatori della sua evoluzione all’interno dello psichismo.
Il primo organizzatore si delinea a circa tre mesi con la comparsa del sorriso del neonato di fronte ad un volto umano, solo se si pone di fronte e non di profilo.
Tale sorriso non conferma che si sia verificata una relazione concreta con l’oggetto, ma solo che ci sia nel piccolo una predisposizione costituzionale che prepara al comportamento sociale.
A otto mesi si verifica la comparsa di un’angoscia di fronte ad un estraneo, solo se il bambino è separato anche di poco dalla madre.
Lo stato simbiotico viene disturbato da uno sconosciuto che con la sua presenza fa sentire al bambino che la madre è separata da lui e quindi è sperimentata come un oggetto fondamentale, cioè un corpo, una figura, e che in mancanza della quale lui sarebbe perduto.
Secondo Spitz questo comportamento indica che il bambino ha stabilito una prima relazione vera, sociale, con un oggetto umano, significativo per lui. Si tratta del secondo organizzatore.
Il terzo organizzatore consiste nella fase del NO. Il bambino si oppone alle richieste materne e con questo indica che sta sperimentando la prima distinzione tra Sé e la madre, muovendo il capo, scuotendo la testa (rooting reflex), cioè mimando il rifiuto dell’accettazione del biberon ad esempio, o di altro. Si tratta di un rifiuto astratto, utile al piccolo solo per evolversi verso la distinzione tra Sé e l’altro.
L’angoscia dell’estraneo mi sembra importante nel tentativo di trovare la radice di certi ritrosie e preconcetti spontanei, tentativo che è insito in molte persone del pianeta che potrebbe sfociare e tradursi in qualche caso in quel fenomeno orribile che va sotto il nome di razzismo.
Non intendo riferirmi a questa degenerazione del preconcetto sul diverso, e nemmeno ai fenomeni politici e filosofici-ideologici dell’immigrazione-emigrazione, ma limitarmi a osservare l’ingenuità che parte dal bisogno del piccolo, a circa 8 mesi, e si protrae nel mondo adulto tanto pieno ancora di preconcetti.
Il bisogno consiste nell’insicurezza, assai comprensibile dello sviluppo del neonato. Per lui la madre e il mondo materno rappresentano la struttura con cui sopravvive, dal liquido amniotico alla nascita e alla indipendenza a vari livelli.
La madre è la base sicura della fiducia di base, quella che lo nutre, lo protegge, gli fa sentire il calore della vita. Ciò che comincia ad essere riconoscibile, noto e familiare rassicura ogni essere umano anche quando diventa adulto.
La tendenza normale della gente è primariamente di difendersi dall’estraneo e da ciò che non conosce, perché prevale il timore dell’ignoto. Questa tendenza si riflette sui cibi meno conosciuti delle cucine regionali, dall’ascolto delle musiche, dei vestiti, dello stile delle capigliature, dai tatuaggi e altro.
Occorre conoscenza e cultura, identificazione con il diverso e sperimentazione concreta per godere della ricchezza che il mondo potrebbe offrirci. Stare chiusi e nascosti, come farebbe il neonato, sarebbe una catastrofe. Infatti il neonato si evolve quasi sempre.
Alcune tracce di paura possono rimanere nell’adulto. Bisogna curare queste paure perché quel che viene fuori da questa cura non può che essere nulla se non mediamente un successo.
La paura e il terrore che deriva dall’incomprensione, della non conoscenza, può essere più pericolose della guerra.
Occorre assomigliare ad Ulisse nella sua intensa, ma prudente, curiosità di conoscere e sperimentare, uscendo dal pregiudizio della paura cieca.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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