Occupandomi in passato di compulsioni psicopatologiche, ho potuto studiare la disposofobia. Questo termine significa accumulo, accaparramento psicopatologico compulsivo che viene individuato primariamente negli Usa.
Si tratta di un disturbo mentale che implica un bisogno incontrollabile, e quindi compulsivo, di mantenere dentro di Sé tutto ciò che si acquista (hoarding disorder).
Siccome sappiamo che il consumismo nasce anch’esso in questa grande nazione, si suppone che proprio in quel Paese alcune persone con disturbi affettivi, acquistino molto roba approfittando anche del basso costo e delle offerte conseguenza di sconti sensazionali, senza essere poi capaci di liberarsi del troppo e dell’inutile.
Gli hoarder sono persone non sono in grado di elaborare lutti profondi e tanto altro connesso con le separazioni per esempio, e così sembrano sviluppare parallelamente un meccanismo di difesa che consiste nel trattenere ogni cosa dentro di Sé.
Di fatto gli oggetti vengono incorporati nella casa Self e spesso relegati nel basement cioè in cantina, ma quando debordano gli oggetti conservati finiscono per passare ai piani superiori. Invadono quindi l’abitazione sino a essere gli unici protagonisti della casa, perché i proprietari non trovano più posto per starci.
Gli accumulatori seriali si sono diffusi anche in Europa e in Svezia, si può infatti verificare che genitori avveduti in età anziana decidano di liberare i loro figli, dopo la loro morte, degli oggetti inutili e in particolare quelli che potrebbero ricordare troppo dolorosamente la loro scomparsa.
Si tratta di svuotare la casa di mobili e di oggetti che avrebbero avuto senso solo per i genitori e un’infinità di oggetti correlati…
Certo che senza essere accaparratori compulsivi noi tutti conserviamo tanto oggetti che hanno un valore intrinseco e che ingenuamente pensiamo che, conservandoli, potremo goderne in altro sublime momento.
Forse alberga in noi una inconscia speranza di essere eterni, eco degli antichi egiziani, e conserviamo per passare nell’al di là?
Oppure siamo solo avidi e amiamo il possesso fine a se stesso?
In verità vedo queste testimonianze come nidi della nostra identità, nuclei dei nostri affetti che per altri non significherebbero nulla e sarebbe senza valore estrinseco, a meno che non fossimo noi stessi dei personaggi storici come Dante o Michelangelo… In tal caso avrebbe un grande valore qualunque spillo.
Ma per i comuni mortali è più importante lo spazio libero, pulito da contaminazioni varie, da tracce di pensiero altrui.
Fanno bene alcune genitori svedesi a preparare un terreno pulito da certi oggetti ricordo o sono in errore?
Alcuni figli direbbero che preferirebbero mantenere i loro ricordi e piangerci anche sopra, altri ringrazierebbero di non dover passare attraverso tale strazio.
… Sol chi non ha eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna … così scriveva Ugo Foscolo nei Sepolcri.
Perché questi oggetti sono come un sepolcro, cioè sono feticci da adorare?
Non saprei: certi ricordi li considererei importanti e quindi con questi gli oggetti che si connettono ad essi, altri mi trasmetterebbero solo peso e tristezza.
Gli svedesi la chiamano dostadning: fare le pulizie della morte prima del tempo, liberarsi del superfluo e scegliere l’essenziale, non appena si va in pensione, per risparmiare ai figli, la fatica fisica e psicologica che potrebbe aggravare sia il lutto a causa di un faticoso trasloco di cose inutili.
Penso in aggiunta che i genitori svedesi, che dignitosamente vogliono affrancare i figli da tanti oggetti feticci, agiscano anche per un loro senso del pudore e si vergognino di mostrare i figli le loro debolezza di un tempo, quando erano giovani e compravano certi oggetti e mantenevano certe fotografie delle quali andavano fieri.
Penso alcuni non vogliano mettersi a nudo anche dopo la loro scomparsa con testimonianze troppo ingenue.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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