Non è strano che la gente stando a casa tutto il giorno esca per comprare cibo e investa molto tempo nel cucinare in generale.
Visto che il tempo non manca, l’idea di far le cose per bene ha il sopravvento in molte persone che si considerano piccoli o grandi cuochi.
Bisogna poi fotografare la bellezza di certi piatti decorati perché ora c’è il tempo per fare dei piatti proprio belli e desiderabili per tutti gli amici.
Questi piatti ornamentali di vari colori e forme vengono immessi con orgoglio in mostra nel circuito dei vari social come proprie creature che esibiscono come veri e propri genitori, cioè da chef.
Mi sembra che le giovani donne si occupino di sformati, di paste al forno con burro e panna, dolci di vario genere, gelati, torte, budini, monte bianco, meringate, millefoglie, torta di riso e altre. Gli uomini invece esibiscono pezzi forti come arrosti con patate, gulasch, canederli, tortelloni, lasagne, polpette di vario tipo, maiale trattato in costolette, ma anche pescioni al forno, sushi e sashimi.
Perché il cibo, anche nella sua versione estetica, sembra essere quasi più importante che a Natale o in certi compleanni o feste formali consacrate?
Certo risponde spesso a un meccanismo catartico, liberatorio ma anche é un rifugio, uno sorta di stupefacente a difesa del vuoto di certe giornate grigie tutte uguali, anonime. A queste giornate vanno aggiunti tanti colori, profumi delicati o forti quasi carnali all’odor di aglio e cipolla, rosmarino, zenzero, finocchino selvatico o di curcuma.
Peccato che questi profumi non si sentano nelle foto, ma solo l’estetica impera per attrarre i vari gusti degli amici che applaudono: ma l’estetica, dal greco aesthetica, significa appunto sensazione. Ecco allora perché visualizzare il cibo in bella mostra equivale a promulgarne gli odori e sapori.
Spesso il cibo più che gustato è ingurgitato per riempire in fretta un opprimente senso di vuoto interiore, che è erroneamente associato alla fame fisiologica.
Mangiare tanto e tutto in una volta può dare la sensazione di riempimento di una mancanza tormentosa e di sentire di continuare ad esistere.
Oltre alla catarsi, che certamente è un desiderio condiviso tra amici in queste situazioni di crisi, ci sono altre motivazioni che possono spiegare l’esibizione del cibo stesso: le possiamo attingere dalla psico-biologia e dalla storia dei costumi umani.
Da sempre i periodi di crisi apocalittici sono state associati alla mancanza di cibo per garantire la sopravvivenza.
Anche in questo caso la crisi richiama il bisogno di immagazzinare cibo buono per contrastare la fame, ma anche la povertà, la mancanza di per sè.
Facile associare la mancanza di cibo alla mancanza di affetto.
Il cibo può consolare da delusioni, tradimenti, fallimenti traumi (come lutti, separazioni…). Spesso le frustrazioni, la noia e il vuoto richiamano e reclamano il cibo come soluzione compensatrice provvisoria.
Sappiamo che la psicoanalisi con Freud, Abraham, M. Klein citano la fase orale, intendendo il modo in cui la madre quieta il bisogno del poppante che, sospeso nelle sue pulsioni, sembra aver bisogno di essere saturato dal dolce latte materno: ma anche con l’atto della suzione che gratifica perché indica la presenza concreta e rassicurante della relazione con la voce e con il corpo materno.
Nella storia degli antichi Egizi il cibo era considerato un dono funebre, e per gli antichi greci il cibo veniva portato in dono agli dei nei sacri templi.
Anche gli antichi romani esibivano ricchi banchetti propiziatori davanti ai quali, i nobili sui triclini, contemplavano attraverso il cibo il futuro a loro favorevole.
Il cibo, dunque messo in mostra nei social potrebbe inconsciamente evocare felicità per il futuro, ricchezza in contrasto con la crisi economica che forse ci aspetta dopo quella del virus.
Il cibo potrebbe esorcizzare e allontanare momenti funesti come le carestie di un tempo che fu.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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