Forse la distanza tra persone potrebbe essere maggiore.
In caso di forti starnuti e di poderosi colpi di tosse è stata dimostrato che la distanza utile e necessaria per mantenere l’igiene tra una persona e l’altra dovrebbe essere di circa due metri. Le goccioline, droplets, si possono propagare sino a oltre una distanza di un metro.
Uno studio della Virginia Tech del Maryland ha calcolato, e reso visibile in un videoclip, possibili conseguenze di uno starnuto e di un colpo di tosse esplosivo.
Dopo aver usato in un esperimento polveri colorate dello stesso peso e grandezza delle droplets, si poteva vedere come varie emissioni di starnuti indirizzati verso una persona avessero in effetti la capacità di contagiare chi stava di fronte.
Si sono studiate le emissioni umide dalla bocca: possono viaggiare a una velocità da 80 a 160 km all’ora, seppur per un breve tratto.
Già una normale influenza stagionale che ha contagiato una persona può propagarsi con un solo starnuto e influenzare con i vari virus luoghi chiusi come un compartimento di un treno, una cabina di un aereo o un’intera stanza di casa.
L’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, sostiene che la distanza sociale dovrebbe almeno osservare 1metro e 80 centimetri di distanza, anche se in pratica, in molti casi, un solo metro potrebbe bastare a proteggere dall’attacco del virus.
I casi riguardano quando le persone parlano normalmente, ma se invece discutono in modo esagitato, potrebbero emettere goccioline anche a distanza apprezzabile, per cui a mio parere, un metro di distanza non basterebbe più per proteggere dalle droplets infettive.
La trasmissione del virus può essere pericolosamente indotta anche dalle densità delle goccioline di saliva nebulizzata, dalla velocità di espulsione delle stesse e dall’umidità ambientale.
La pianura padana rappresenta un eco-ambiente, sia umido, sia inquinatom e le goccioline infette potrebbero trovare un terreno relativamente fertile nella loro trasmissibilità.
Il programma di concessione della seconda fase stabilita dal Governo prescrivere sempre sia il contenimento sia la distanza sociale, e mantiene sempre la distanza di un metro nel caso di uscire di casa.
In modo a tutt’oggi ancora confuso, il Governo concede anche qualche apertura ad aziende, poi piccole concessioni ai con-giunti, permessi ristretti alle cerimonie dei funerali, e altre piccole concessioni.
Immaginiamo che il Governo abbia ribadito da sempre che un metro di distanza tra la gente sia sufficiente, perché altrimenti si sarà pensato che non sarebbe mai attuabile la frequentazione sociale durante l’epoca del coronavirus per mancanza di spazio nei locali, ma anche nel territorio.
L’estrema prudenza nell’aprire le porte di casa sembra essere decisa per timore di non controllare abbastanza i rubinetti sociali e causare per via di un numero elevato di persone un dilagare attraverso i mezzi di trasporto e alimentare focolai di nuovi contagi.
A mio parere, il punto problematico dell’organizzazione sociale si ripropone nell’eccessivo abuso del contenimento a casa come medicina.
Penso che insistere troppo tenendo le porte delle case chiuse dall’esterno sia come se chiudessimo le autostrade perché si rischierebbero troppi incidenti automobilistici!
Una prima controindicazione si riconosce nella insopportabilità della gente di mantenere oltre misura e oltre tempo, la restrizione a casa.
Le difficoltà sociali sono ormai note, specialmente per certe persone e non vale la pena ripeterle, sebbene sia importante ricordare le patologie che derivano da questo tipo di sofferenza. Una sofferenza per alcune persone mai sperimentata in precedenza, nemmeno in periodo di guerra durante il coprifuoco.
Le conseguenze psico-somatiche sono confermate da molti addetti ai lavori della psiche e che estendono in medicina alla cura di altri e vari settori.
La seconda controindicazione, parallela alla prima, ma d’enorme importanza sociale, è ben nota e indicata dall’Economia del Paese che, come dicono non solo gli esperti, sarà catastrofica. Dunque catastrofe accanto a catastrofe.
Inoltre un’altra contrindicazione si riconosce anche nel fatto che trattenere la gente a casa per troppo tempo non permette di stimolare minimamente il sistema immunitario.
Il decaduto principio di quel che si denomina immunità di gregge, o meglio immunità di comunità o sociale, potrebbe non aver avere perduto del tutto il suo senso con il coronavirus.
In cosa consiste? Sappiamo che se in una popolazione aumenta il numero di persone immuni al virus, si riduce la probabilità di contatto tra individui infetti e suscettibili, cosicché la malattia epidemica potrebbe essere ridotta, se non con il tempo anche eliminata.
Il virus non trovando abbastanza corpi su cui sopravvivere, perché gli immuni ne respingerebbero l’entrata, tende a ridurre la sua sopravvivenza.
Specialmente in Italia, e comunque poiché come noto il coronavirus è ancora fondamentalmente sconosciuto, non possiamo contare sull’immunità di gregge all’inizio della pandemia.
Occorrerebbe che la vaccinazione esistesse e fosse diffusa o comunque un alto numero di persone accertate già siano immuni.
Si era tentato all’inizio della diffusione del virus nel Regno Unito di sfruttare questo meccanismo, ma il primo ministro ha dovuto recedere, vista la forza del virus nel contagio.
Come gli esperti hanno suggerito, sarebbe stato un disastro se in Italia non si fosse provveduto come già è stato fatto, attuando il contenimento sociale.
Metà della popolazione sarebbe andata persa per via di un’infezione massacrante e infrenabile. Come una belva affamata il virus avrebbe fatto fuori tante vittime quante impreparate al nemico.
Ma a questo punto dell’evoluzione del virus verso la curva di decadenza, con qualche conoscenza in più da parte degli esperti, con qualche farmaco come arma, potrebbe oggi andar diversamente?
Comunque, qualora la popolazione riprendesse prudentemente la vita lavorativa, mantenendo la distanza sociale, nonché l’igiene, usando sempre le mascherine con un programma rigoroso e distinto ad hoc, penso che un certo grado di immunità nella massa si aggiungerebbe al già impegnativo contenimento fuori di casa.
Questo programma sembra essere iniziato, ma con una velocità un po’ demoralizzante.
Se si investisse maggiormente sui criteri preventivi specifici di sicurezza ancora non dichiarati per impedire una propagazione del virus, si migliorebbe la qualità della vita e frenerebbe la caduta catastrofica dell’economia. Le aziende, le partite iva e altri lavoratori pronti, diligenti e coscienti dei pericoli di trasmissione dell’infezione dovrebbero entrare in attività!
In sintesi, si apra a tutta la popolazione seriamente preparata alle evenienze e ben cosciente e attrezzata al rischio di focolai a causa di una piccola distrazione della gente! Prevediamo tutti rischi, aumentiamo dove si può la distanza social a due metri, ma non facciamo morire l’economia e le libertà individuali per un eccesso di prudenza.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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