Osservando durante questi giorni, destinati alle vacanze, ci si accorge che la distrazione della gente è rivolta per liberarsi dallo stress da coronavirus e dal cosidetto lockdown, parola che sarebbe ben sostituibile in italiano ma che a molta gente piace tanto pronunciarla con forte accento spinto, finto-inglese come per negare il provincialismo latino a cui forse per lo più apparteniamo.
Dovrebbe essere chiaro però che le costrizioni passate non dovrebbero più essere riproposte a patto che le distanze sociali siano ancora costantemente mantenute fino a che è necessario.
Gli incontri tra persone per aperitivi nei vari bar, cafè, ecc., appaiono molto affettuosi da parte dei giovani e spesso anziché il gomito, che si dovrebbe virtualmente o in concreto offrire agli amici, si passa direttamente agli abbracci.
Ahimè niente di male in sé, ma spesso gli abbracci non sono neppure veloci e durano l’equivalente del tempo di astinenza dalla persona che è mancata alla frequentazione affettiva.
Molti amici sono prudenti e si mantengono alla giusta distanza in base alle informazioni sanitarie, ma alcuni si sentono cretini nell’essere ligi alle indicazioni fornite dalla Sanità.
Le persone infatti che appaiono e/o sono stimati avere un’intrigante e disinvolta personalità, persone empatiche, seducenti, sembrano gradatamente convincere gli altri più tesi a scongelarsi e a rivolgersi con piacere ad abbracci e confidenze fisiche e familiari.
Il vero fine della attuale frequentazione amichevole e affettuosa è quella di far uscire la gente da una prigionia eccezionale compiuta nei mesi precedenti che aveva come fine di tenere isolato il virus. Oggi il fine non è minimamente cambiato, ma dobbiamo abituarci a convivere con il dittatore invisibile.
Dobbiamo mantenerlo isolato.
Si tratta sempre e più che mai di impedire cioè che il virus possa infiltrarsi e impossessarsi dei corpi dei quali ha bisogno per sopravvivere e replicarsi.
Il virus è vivo ed attivo più che mai come dimostrano le notizie provenienti dai Paesi europei con i quali confiniamo. Siamo circondati da territori che hanno inavvertitamente consentito che il Covid circolasse e così il malefico si sta ancora diffondendo.
Incontrarsi seppure a distanza è meglio che non incontrarsi affatto. Riprendere la nostra vita di prima è doveroso, ma la distanza dei corpi è l’unica condizione possibile che consente di non rinunciare a niente se non alla distanza.
Sin dall’antichità si usava difendersi dalle epidemie e pandemie mantenendo come unica arma contro virus e batteri la distanza e il fuoco.
Poiché non possiamo bruciare parte dell’ambiente nel quale viviamo (già l’autocombustione fa purtroppo il suo corso), accontentiamoci di usare la distanza minimale, nonché la mascherina quando sentiamo che lo spazio che vorremmo mantenere è in forse, cioè negli ambienti chiusi. Usiamo il massimo di igiene con le nostre mani, veicolo di continuo e possibile infezione, anche in tempo di non coronavirus.
Queste regole di igiene dovrebbero essere osservate anche senza imposizioni di ordinanze.
Per questa ragione ho scritto nei precedenti articoli che ci saremmo dovuti aspettare le comunità sarebbero state responsabili per il proprio bene e per quello degli altri di essere scrupolosi con l’igiene senza ordini, ma solo con opportune indicazioni sanitarie.
Forse sono ottimista! I risultati sono comunque stati buoni. Oggi ci dobbiamo augurare che i Paesi confinanti, tramite le distrazioni dei nostri concittadini all’estero, non riportino indietro ciò che noi siamo riusciti quasi a sconfiggere nel nostro territorio.
In questo delicato periodo di transizione durante il quale dobbiamo far convivere la nostra qualità di vita con la presenza costante ma invisibile del virus, cerchiamo di non essere distratti da chi a sua volta pretende di disconoscere un potere biologico negandolo con atti irresponsabili che tendono a offuscare l’evidenza scientifica.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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