I giovani sono meno trasgressivi, ma perché disillusi

I giovani sono meno trasgressivi, ma perché disillusi

Molti giovani sono da tempo disillusi e delusi, avviliti, frustrati nelle aspettative perché sentono di vivere in una realtà il cui presente appare statico, poco attraente, poco stimolante, spesso noioso perché ripetitivo.

Non immaginano se stessi in un futuro, quello che era atteso come più ricco di opportunità come forse i nonni lo avevano raccontato riferendosi, senza rendersene conto, alla ripresa del dopoguerra italiano degli anni 50.

Non esiste in molti ragazzi quasi più il timore delle autorità sociali di un tempo che, per quanto anche allora trasgredite, mantenevano per lo meno un minimo e un buon riferimento mentre aiutavano a seguire un comportamento coerente per quei tempi: qualche giovane spesso era allora indotto a trasgredire, ma senza esagerare, e così qualche conquista verso l’apertura e verso il cambiamento maturava in lui.

Spesso certe piccole trasgressioni stanno ad  indicare che le norme stesse sono state introiettate a sufficienza tanto da poter infrangerle con coerenza e prudenza.

Il futuro sembra non offrire validi obiettivi, per lo meno molti giovani non li vedono tanto chiari.

I genitori dicono ai bambini di essere bravi, buoni e belli e loro ci credono, poi che succede?

La famiglia si è spesso mal adattata al consumismo perché denaro e tecnicismo sembrano essere gli unici nuovi e unici protagonisti degli anni avvenire.

Molti ragazzi o sognano ad occhi aperti, e alcuni si anestetizzano in qualche modo, stupefacenti, compulsioni e dipendenze come giochi d’azzardo e tante altre, oppure alcuni si passivizzano sentendosi fuori contesto e vuoti, non più disponibili.

Nemmeno però si avverte, se non eccezionalmente, l’autorevolezza desiderata e invocata da molti giovani, quella fatta di modelli ispiratori e coerenti, quindi stimolanti.

Già nel 1963 Alexander Mitscherlich, psicoanalista tedesco, direttore dell’Istituto Freud di Francoforte, scrisse Verso una società senza padre, prevedendo una società che per molti aspetti assomiglia a quella attuale.

L’autore sostiene la necessità di recuperare il senso dell’autorevolezza  in un mondo che tende giustamente a sconfiggere le dittature, le ipocrisie, il paternalismo, ma senza riuscire a far nascere nuovi valori punti di riferimento.

Il codice paterno identificato da S. Freud non doveva sparire e con lui ogni connotazione affettiva.

La società senza padre non significa soltanto eliminare il conflitto con il padre, e quindi la trasgressione, significa svalutare il padre e con lui ogni affetto a lui connesso.

Se non c’è una autorevolezza paterna, non potrà esserci crescita, cioè evoluzione dialettica: quindi se viene abolita la sana ambivalenza, cioè conflittuale, ma non distruttiva con il padre, e le possibili competizioni includendo anche eventuali rivalità, non ci sarà identificazione introiettiva, cioè modelli utili, anche da contestare, ma esistenti.

Ci sarebbero – dice Mitscherlich –  frustrazioni nei giovani che brancoleranno nel vuoto e quindi seguirà frustrazione e aggressività.

Potrebbe crearsi una competizione orizzontale tra fratelli e quindi tra la gente giovane per qualcosa che non trovano perché forse non esiste, cioè i valori, la solidarietà.

Potrà nascere l’invidia fraterna verso il vicino, il fratello che sembra più fortunato o premiato dalla mamma, di nascosto dagli altri.

Crisi di autorevolezza significa conseguente crisi di valori e di affetti.

E’ necessario – dice Mitscherlich – imparare dagli uomini esperti della vita nel mondo, per insegnare ad altri uomini le proprie profonde esperienze anche (aggiungo io) empiriche.

Queste esperienze derivano forse anche dalle antiche generazioni, e possono anche mostrare molta saggezza.

Le società sempre più tecnicizzate, spesso tecnocratiche, aumentano il conflitto tra l’aspirazione all’autonomia individuale sulle scelte di base della vita e l’organizzazione burocratica che diventa sempre più indispensabile per continuare la vita sociale.

Il risultato mostra la frustrazione delle libertà incapsulate dalla mancanza di entusiasmo perché viene a mancare la forza attrattiva di modelli validi.

Prima ancora il filosofo Friedrich Nietzsche alla fine dell’800, ripreso oggi dal filosofo italiano Umberto Galimberti, aveva introdotto il pericolo sociale e umano: è entrato in noi l’ospite inquietante, il vuoto.

Sempre alcuni giovani vivono la sessualità senza la passione di un tempo, senza il meraviglioso mistero che si conquistava insieme all’anima, quando era avvolta dal Velo di Maia.

E’ morto dio – annunciava Nietzsche – intendendo un mondo di sacralità e di valori che avrebbe portato all’ospite inquietante, cioè il grigio, il vuoto, l’assenza, la solitudine, la demotivazione a sopportare il dolore per trovare nuove vie per l’esistenza soddisfacente.

La pornografia libera ha inoltre svelato ogni mistero.

Oggi anche le ragazze sperimentano, o con indifferenza oppure con paura della performance con il partner con timore di insuccesso.

L’evoluzione femminile ha portato a una liberalizzazione delle conquiste e la donna già da molto tempo si è posta alla pari dell’uomo, per quanto le fosse possibile uscire dai confini di un’etica ristretta di madre/moglie nella quale era stata relegata per lunghi secoli.

La decadenza dei valori e dei sentimenti porta in particolare i giovani a una sorta di riduzione dell’alfabeto emotivo e dei sentimenti.

La negazione dei giovani del loro senso di vuoto spesso non riconosciuto in se stessi, si manifesta allora con l’esaltazione e l’eccitazione maniacale, quella che fa uscire di testa per non pensare e accorgersi di un po’di quel dolore che c’è. Quel dolore potrebbe invece portare a incuriosirsi di se stessi e del proprio mondo interiore, delle proprie potenziale risorse e ancora sconosciute capacità.

La comunicazione sociale si è giustamente trasformata, perché l’evoluzione tecnologica ha aggiunto infinite modalità di contatto: l’apparire in tutti i modi porta a inviare messaggi teatrali e spesso efficaci, tanto repentini quanto impulsivi.

Sembra però essere più difficile per i giovani trovare lo spazio psichico per ascoltarsi e decodificare certe sensazioni, certi bisogni urgenti di se stessi e quindi anche degli altri.

Spesso queste difficoltà psichiche impediscono la via della elaborazione di fantasie e pensieri indigesti per la mente e corpo che si convogliano proprio nel corpo, attaccandolo.

Anoressia e bulimia nervosa e tante altri disturbi somatici attendono all’angolo…

Penso che la scuola dovrebbe rieducare i ragazzi ai sentimenti e insieme alle materie che insegna, e favorire l’ascolto delle proprie emozioni.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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