Il medico nazista Josef Mendele fu soprannominato angelo della morte come anche angelo della misericordia intendendo in criminologia i serial killer che uccidono negli ambienti ospedalieri o simili. Il nazista operò facendo esperimenti mortiferi sugli internati del campo di concentramento di Auschiwtz durante i primi anni quaranta.
Questo genere di medico ha recentemente trovato rispecchiamento in alcune infermiere e infermieri professionali che oggi prevalgono nelle loro azioni nefaste sui medici, quando si prendono amorevolmente cura di alcuni anziani, uccidendoli. Alcuni pazienti sono ammalati gravi, cronici , a volte sono interessati ai bambini. Normalmente padroneggiano i farmaci e durante le notti nelle quali questo personale infermieristico sono soli e non controllati tramite iniezioni uccidono.
Le iniezioni sono a base di embolie gassose, di insulina, cloruro di sodio, di potassio, di aria nelle vene, di veleno vero e proprio, di diamorfina, di stricnina, arsenico a fortissime dosi, ovviamente letali. Le motivazioni di questi uccisori non sono sessuali come i più comuni serial killer.
Le dichiarazione di alcune infermiere riguardano la pietà che loro provano verso certi pazienti sofferenti. Dichiarano di sopprimere i malati per un bisogno inspiegabile persino a se stesse come se fossero fantasie onnipotenti messe in atto sui pazienti, fantasie che esprimono un controllo sulla vita e sulla morte dei pazienti.
Alcune infermiere creano di proposito una situazione di emergenza, e curano, allarmando il personale per malattie che non esistono, coinvolgendo anche i medici: i malati in realtà non hanno bisogno di speciali farmaci o interventi di varie tipo, così pongono in realtà la loro vita a rischio per attirare l’attenzione sulla loro competenza e se riescono a salvarlo si prenderanno tutta la gloria: ma anche se periscono diranno che non c’era più nulla da fare per salvare il malato vittima, del bisogno di grandezza dell’infermiera o di altri disturbati dal bisogno narcisistico di grandiosità.
Questo comportamento spesso ricorda la sindrome di Munchhausenper procura che coinvolge madri che danneggiano i loro figli per un bisogno di loro grandiosità, per poi portare le piccole vittime danneggiate fisicamente in ospedale per salvarle dai danni procurati, occupando così il personale sanitario oltre modo.
La mia ipotesi prevalente che riguarda questa patologia criminale la spiego in tal modo:
L’infermiera omicida è una persona competente e assai esperta che riscuote fiducia professionale dai medici e dalle persone che la conoscono. La solitudine e alcune frustrazioni coltivate inconsciamente fanno scattare in alcuni momenti, per esempio in ospedale, una personalità dissociata latente, vale a dire che l’Ego e il mondo interiore è diviso in due o più contesti mentali, come piani diversi e separati completamente tra loro.
La parte malata, magari infantile della persona omicida, si identifica con il bravo medico di cui è assistente.
Il bravo medico riesce a salvare le vite dei malati ed è oggetto di ammirazione da parte dell’infermiera/e professionale. La donna criminale (o l’uomo) decidono di essere all’altezza del bravo medico con il padroneggiare la vita e la morte dei malati. In questo modo usano la medicina farmacologica che ben conoscono, iniettando non la vita, ma la morte. In tal modo si sentono alla pari come importanza con il medico o i medici che ammirano.
Tale padronanza delirante del comportamento che aumenta gradatamente con l’aumentare degli omicidi finisce con fare scoprire le morti sospette e arrivare alla ricostruzione della realtà criminale.
Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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La competenza infermieristica mi sembra che sia attualmente provvista di una lunga formazione e penserei, allora, che possa esserci una particolare attenzione anche per aspetti psicologici: visto il probabile convergere di responsabilità, stress e gerarchie da coniugare nello svolgimento del proprio lavoro.
Mi domando quale realmente sia il posto rivolto alla formazione psicologica degli infermieri non solo ai giorni nostri, ma anche in rapporto ad un passato relativamente prossimo?
Inoltre mi interrogo sulla capacità preventiva di una formazione psicologica rispetto ai comportamenti descritti?
Raffaella
Il posto oggi é l’Università e esiste un corso di laurea specifico presso Il dipartimento di Medicina. In passato era diverso e la formazione meno professionale, anche se l’esperienza spesso compensava le conoscenze scarse
roberto pani
Diversificare il proprio ruolo: come nel caso di una amica, che affianca il priorio compito di infermiera in due differenti situazioni all’interno di ambiti privati, può aiutare a integrare aspetti diversi di sè, lenendo il senso di impotenza, probabilmente, forse, solo in parte, connesso alla frustrazione ed alla necessità di poter accedere emotivamente a diversi punti di osservazione della stessa situazione di malattia e sofferenza?
Raffaella