Sono stato per alcuni anni giudice onorario presso il Tribunale della Sorveglianza di Bologna, che significa partecipare alle udienze e camera di consiglio per esaminare da un punto di vista psichico e sanitario, come esperto, la possibilità di diminuire le pene dei detenuti/e che lo richiedono tramite avvocati. E’ stata una utilissima esperienza.
In molti casi la gente che segue le sentenze di alcuni casi giudiziari approva o disapprova le sentenze finali dei giudici nei vari tribunali italiani, specialmente per quel che riguarda i processi penali. In Italia, come noto, la procedura di questi si svolge in tre gradi di giudizio (Primo grado, Appello, Cassazione): soltanto alla fine di questo percorso la condanna di un imputato è definitiva. Chi è imputato in un processo non può essere considerato colpevole e quindi non può essere condannato ad alcuna pena fino alla condanna di Cassazione.
Mi interessa considerare che il terzo comma dell’art. 27 della Costituzione riguardo alla responsabilità penale stabilisce il principio della finalità rieducativa della pena: la pena quindi non esprime una sentenza di vendetta, ma anche si propone di comunicare alla società un senso ai reati affinché non si ripetano. L’obiettivo generale della pena consiste nel̀ fornire al condannato e alla società gli strumenti necessari per reinserirsi nella società rispettando le regole fondamentali della convivenza civile:
è necessario che, affinchè la rieducazione dell’imputato si attui, la procedura della pena rispetti la dignità del condannato: per questo motivo nella nostra Costituzione sono vietati i trattamenti contrari al senso di umanità. Purtroppo tante situazioni negative si frappongono a questi obiettivi tra i quali quello che vede gli istituti di detenzione soffocanti e stracolmi di gente.
Penso che la difficoltà del lavoro dei giudici consista oltre allo sforzo di giudicare la colpevolezza o l’innocenza dei vari sospetti, poi imputati, anche quella di curare una proporzione giusta tra la cosi detta pena da applicare e il crimine commesso, in base alla buona fede dell’imputato che ha commesso reato, all’intenzionalità, alla premeditazione, all’essere cosciente al momento dell’atto criminoso, alle eventuali psicopatologie, alla sua ripetitività, ecc.
In Italia le sentenze, non possono costituire un precedente giuridico che funga da modello per altre future sentenze, anche se in parte, ogni sentenza fa storia: in altre parole le leggi, fino a che non sono modificate dai politici e dal Presidente della Repubblica non possono essere interpretate o applicate dai giudici più di tanto, perché le loro applicazioni sono pre-scritte. In altri Paesi occidentali invece, mi riferisco ai Paesi anglosassoni, le sentenze possono esser interpretate dai giudici più liberamente e favorire le trasformazioni delle leggi future, perché si suppone che la società sia in continuo cambiamento etico-morale, di costume ecc. Certi comportamenti quindi potrebbero essere visti in modo legale, mentre altri sempre più come un reato.
I giudici possono sbagliare il giudizio, ma si prodigano per essere professionali al massimo livello, ma non dimenticano che la pena non dovrebbe funzionare come una vendetta, ma fondamentalmente come una rieducazione per un inserimento sociale corretto. Un’altra funzione della prigione consiste nel proteggere il mondo sociale, (custodia cautelare), specialmente se gli imputati sono considerati dagli esperti pericolosi e commettere reiterato crimine.
I giudici nel tentativo di amministrare la legge mirando anche al bene etico e civile di educare i colpevoli di reati, cercano anche di non offendere le vittime che subiscono gli effetti di un crimine attribuendo una pena troppo sproporzionata all’offesa. Le persone, infatti, quelle che subiscono una perdita di un parente, si sentono spesso svalorizzate o non considerate nel caso in cui la pena attribuita dai giudici appaia a loro leggera. Esclamano in genere qualcosa che suona così: io ho perso mio padre e l’uccisore tra pochi anni sarà libero come un uccellino fuori dalla gabbia!
I giudici hanno il difficile compito tecnico e morale di bilanciare tanti aspetti giuridici e umani per offrire il senso della giustizia alla società.
Penso sia molto arduo giudicare, secondo due piani e più piani di funzionamento molto differente.
Quale è il concetto moderno della pena applicata in una società civile ?
La pena, da un lato trova riferimento nella stessa legge di procedura penale, dall’altro dovrebbe essere applicata in modo utile ai modelli sociali etici, alla rieducazione dei colpevoli di reati e a non frustrare i parenti, nonché i coniugi, gli amici, ecc. Osservo allora che tutti questi aspetti sono piani di funzionamento diversi e separati tra loro.
Penso che, pur comprendendo il dolore psichico delle vittime che derivano dai vari crimini da altri commessi, le proteste in questo caso di chi ha subito la perdita di una o più persone care, non possano sempre mirare all’ottenimento di un risarcimento psichico cercando vendetta che, in tal caso, sarebbe ottenuta attraverso una grossa pena. La pena attribuita al colpevole non risarcisce purtroppo la perdita e il dolore delle vittime del crimine che ne consegue.
In altre parole, mentre il senso della giustizia dalla gente è spesso identificato e riconosciuto dall’attribuzione da parte dei giudici di una grossa pena, questa ultima non può che essere il risultato complesso ottenuto dallo studio si è svolto con variabili che corrono su piani assai diversi. In molti casi i piani non sono conciliabili agli occhi di molte persone.
Intendo dire che da un punto di vista umano è assai comprensibile associare pena-punizione-vendetta, perché la vendetta rappresenta psicologicamente un atto momentaneo di parziale restituzione- risarcimento per ciò che è stato tolto.
Storicamente la pena era equivalente alla sola vendetta che si attua ancor oggi, non in Europa, con l’applicazione della pena capitale, la pena di morte. Il tipo di vendetta con la morte era realizzata nella storia anche con tecniche molto diverse: un’infinità di supplizi e torture carnali spaventose, del tipo scorticamento, squartamento, impalamento, lapidazione ecc, dalla decapitazione all’impiccagione, dalla ghigliottina, alla fucilazione. In vari Paesi ancora oggi, la pena di morte è in vigore con mezzi meno cruenti, ma non credo migliori il fine: viene offerto il veleno e l’elettricità. Personalmente preferirei la vecchia ghigliottina!
Penso che oggigiorno una società civile dovrebbe raggiungere bene l’obiettivo di ridurre il crimine con il mezzo dissuasivo, prevenendo i crimini con tutte le modalità e strategie possibili e sopra tutto di educare e di curare psicologicamente la patologia criminologica che è insita in troppi essere umani. Il carcere secondo le statistiche non cura l’individuo, ma protegge la società dai criminali pericolosi. Molti anni di carcere spesso peggiorano le persone oppure le spengono psicologicamente per sempre. Quando la custodia cautelare ha svolto la sua funzione protettiva, l’affidamento a speciali strutture sarebbe più utile nella cura degli errori anche se gravi.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Mi viene in mente che, forse, l’integrazione di aspetti psicologici in una sentenza possa trovare alcune delle stesse difficoltà che incontra una formazione “affettiva” dell’individuo secondo una logica un poco “pragmatica”: un pò come una sorta di fatica a pensare emotivamente ed attraverso simboli.
Mi chiedo perchè nei Paesi anglosassoni, come sottolineato nel post, è accolta una visione più articolata?
in altre parole, che cosa determina, invece, in altri contesti una certa staticità?
Raffaella
Cara Raffaella , non so risponederti
Bisogna conoscere a storia del diritto . Il diritto Romano é un punto di riferimento per tutte le leggi occidentali, ma poi ogni Paese ha modificato a seconda della proprie esigenze
roberto.pani