Sono convinto, come ho avuto modi di accennare in altre occasioni, che le carceri, cioè gli Istituti di pena debbano a mio avviso essere trasformati in Istituti di formazione sociale e professionale, specializzati per addestrare individui antisociali, sociopatici e psicopatici, sia nevrotici, sia psicotici per indirizzarli a una professione.
Perché perdere anni preziosi della vita di persone che hanno molte potenzialità di essere utili a se stessi e agli altri ? Su queste persone che hanno commesso crimini , anche gravi, occorre investire risorse per aprire in loro sia la speranza, sia far emergere la convenienza concreta perché il lavoro professionale, artistico sarà utile sia a loro stessi che alla società che invece è solo costretta a spendere denaro per mantenere i reclusi, senza altro scopo che punire e disincentivare al crimine: ma serve ?
Pena e vendetta sono concetti che dovrebbero decadere, mentre dovrebbero con il tempo, gradatamente essere, sostituiti da fini che mirino a creare socio cultura, dignità e rispetto dell’individualità, anche se il criminale ha commesso dei gravi misfatti. In altre parole quella che oggi chiamiamo pena, con l’implicito concetto di vendetta, dovrebbe essere sostituito da interiorizzazione di interlocutori che generano un blocco verso le azioni che ledono l’identità dell’essere umano e la sua dignità . L’individuo a mio parere, non può che essere aiutato in altro modo, se non grazie a specialisti del settore che si propongono a rinforzare il coraggio dei malviventi al fine di vivere la propria vita, eventualmente difficile, mirando principalmente ad essere realistici, a non invidiare, ma a cercare di migliorarsi, considerando le proprie specificità umane, di abilità, di valore, di riparazione e di resilienza. Se la società riuscisse a recuperare le risorse di essere umani aiutandoli psicologicamente e insegnando loro a preparare seriamente una professione, appassionandoli a una attività utile e remunerativa e per loro interessante, l’avvenire e il futuro prenderebbero per tutti un senso utile e ricompensativo. Non dovremmo più meravigliarci del suicidio facile da parte di giovani, indignarci per la loro distruttività e perversione verso tutte le cose del mondo.
La potenza della vendetta storica alimenta rappresentazioni mentali forti, quali il dominio che presto va con la guerra e la distruzione.
Perché punire e vendicarci, per riprenderci indietro cosa? La dissuasione corrisponde al concetto opposto di incoraggiamento e di per sé, suona utile di fronte ai misfatti. Quanto conta però di fronte ai criminali cioè ai sociopatici? Proprio la trasgressione spesso li incita a correre il rischio d’infrangere la legge perché i trasgressori sentono una società punitiva!
Già Freud nel Disagio della Civiltà del 1929, (dieci anni prima della morte avvenuta a Londra) sosteneva che il vero nemico dell’essere umano era da riconoscersi nel suo Super-Ego, che era ed è un’istanza interiorizzata che generava fantasmi invincibili. La società avrebbe eliminato più facilmente un dittatore perché visibile e esterno a noi, un oppressore della nostra libertà, ma sarebbe stato difficile se non impossibile, liberarsi del senso di colpa. In altre parole, secondo Freud esistevano interlocutori introiettati e assimilati dalla società, a partire dal padre e dalla madre e da tanti parenti, che erano vissuti solo come punitori cattivi all’infinito, con i quali l’Ego doveva continuamente combattere.
Per Freud gli interlocutori con i quali l’Ego doveva combattere e mediare, oltre al Super-Ego, indicava le pulsioni biologiche, e le leggi rigide della realtà esterna.
I personaggi principali della nostra mente erano per Freud rappresentate da queste tre istanze con le quali era difficile conciliarsi per essere completamente adeguati nel mondo sociale, (il reale) e quindi mai perfettamente sani.
L’esperienza e le mie riflessioni sull’argomento in questione mi ha suggerito che da un punto di vista psicologico, noi umani siamo molto più condizionati dagli interlocutori interiori che premono sull’Ego, inteso come protagonista e espressione del funzionamento Nervoso Sistema Centrale, asse ipotalamica ed neuroendocrina che secerne neurotrasmettitori che influenzano le emozioni. I personaggi psichici che non appaiono, ma che funzionano come in una scena teatrale, producono il nostro agire nella nostra vita con le dovute modificazioni in base agli scenari dell’epoca , ossia con copioni che cambiano continuamente: questi personaggi lavorano inconsciamente dentro noi stessi.
Nel mio pensiero, gli interlocutori funzionano in noi in numero maggiore rispetto a quanto avesse descritto e ipotizzato lo stesso Freud . A mio parere, sono corrispondenti alle nostre principali emozioni: come dire c’e la personificazione della vergogna, colpa, disprezzo, nostalgia, tenerezza, persecutorietà, solidarietà, identificazione, possesso, amichevolezza, inganno, furbizia, dominio, trionfo e disprezzo, perversione, protesta, contestazione, inversione, rivalsa, sadismo, perdita , lutto, mancanza, noia, vuoto, non senso, orgoglio, onestà, dignità, ecc. Queste emozioni e sentimenti agiscono sull’Ego influenzandolo continuamente. Se l’Ego fosse plastico e ben formato, gestirebbe meglio il condizionamento di molti tra gli interlocutori e sarebbe più libero di giovarsene positivamente, ma non di esserne schiavo o dipendente.
L’eutanasia come risoluzione per libera scelta, per evitare l’atroce sofferenza, seppur non incoraggiata, esiste già in molti Paesi meno cattolici del nostro.
Sembra che venga usata più di quanto si creda nelle cliniche, dove è premesso.
In alcuni Paesi, esiste ancora la pena capitale. Sappiamo che molti giovani adolescenti si suicidano più di un tempo. Nelle carceri i suicidi sono sempre più in aumento.
Ho compiuto in equipe una breve ricerca con un questionario in cinque Istituti di pena rivolta a ergastolani, chiedendo loro se avessero preferito come prigionieri la lunga detenzione che stavano scontando oppure la pena capitale. Su cento persone intervistate qualcuno, (venticinque) hanno indicato l’uso della ghigliottina, come ai tempi della rivoluzione francese. La consideravano più dignitosa come soluzione, rispetto alla vita dell’ergastolano nelle nostre carceri.
L’onorevole Pannella aveva, come sappiamo, dedicato quasi tutta la su vita ai problemi dei carcerati.
Concludo ribadendo che il concetto di pena e di vendetta non aiuta chi commette anche gravi reati.
Gli edifici penitenziari dovrebbe essere trasformati in case di cura dove gli ospiti debbano essere trattenuti e esortati a lavorare, previo anni di formazione specialistica da parte di operatori di settore, sia adeguata al tipo di detenuto e, sia indirizzato con dignità a lavori pagati che permettano anche una volta formati, e efficienti, di dare a queste persone validi contributi a se stessi e alla società
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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Leggendo mi stavo chiedendo cosa spinga gli istituti di pena ad essere luoghi di contenimento sociale piuttosto che strutture di reinserimento per i detenuti e mi tornava in mente come a volte sembri più facile non vedere parti di sè, perchè occorrerebbe forse dissolvere una gran confusione emotiva.
Nel punto d’ascolto dove ho collaborato c’era la possibilità di borse lavoro per coloro che erano usciti dal contesto sociale e lavorativo per varie ragioni, tra cui anche l’esperienza carceraria a seguito di reati più o meno gravi.
Il percorso di reinserimento, però, notavo come si giovasse di varie e variegate competenze, in cui non sembra prevalere la dimensione di un ascolto psicologico: si evince un’intenzione ma spesso nel tempo disattesa : forse, a volte, anche le figure rivolte a favorire un recupero vivono un forte senso di impotenza accanto ad una generica competenza, dove i ruoli sembrano reimpire il vuoto delle esperienze ?
Raffaella