Il bambino nasce naturalmente egocentrico. Come potrebbe non esserlo?
Si trova in un mondo che non conosce e non sa gestire. Chi si prende cura di lui deve servire i suoi bisogni e l’interazione con il neonato è basata sull’affetto.
E’ ovvio che il piccolo sia in buona parte passivo e che si consideri al centro del mondo circostante per gestire la sua sopravvivenza.
L’interpretazione del mondo che lo circonda è estremamente soggettiva perché il bambino non ha ancora introiettato e fatto parte dei propri interlocutori interiori gli elementi che aiutano a gestire il reale del mondo e che interferiranno arricchendo il suo vissuto di assoluta visione soggettivistica. Il bambino in modo psico-biologico è in una posizione di attesa più o meno passiva, aspettandosi che tutti gli adulti favoriscano e appaghino i suoi bisogni.
La visione di ciò che è attorno a lui, è visualizzata e sentita in funzione di quel che egli si aspetta di buono secondo il principio del piacere, e scartare tutto ciò che potrebbe generare dolore e frustrazione.
L’egocentrismo varia in base all’interazione con chi si occupa di lui.
Alcuni genitori possono creare illusioni accorrendo esageratamente alla minima richiesta del bimbo anche quando egli è già abbastanza cresciuto: alcuni di loro non pensano che il bambino andrebbe seguito considerando la sua crescita e il suo sviluppo emotivo e cognitivo: al minimo lamento o pianto si comportano come se il bambino fosse rimasto sempre un neonato. Oppure i genitori si congelano in un atteggiamento rigido o stereotipato come se lo sviluppo del piccolo non avvenisse. Fanno molta fatica ad identificarsi nel cambiamento del bambino.
Ci sono varie ragioni per cui alcuni interlocutori interni (la mente è gruppale) impediscono nei piccoli la crescita armonica, e quando diventano adulti, molte persone, mantengono inalterate certe parti infantili e ingenue, quindi egocentriche, coerenti con l’epoca della prima infanzia.
Continuano cioè a vivere il mondo in modo limitato ai loro bisogni attraverso la loro visione ristretta e egocentrica, mai mettendosi nei panni dell’altro e degli altri, quasi non esistessero.
L’adulto in alcuni casi diventare egotista, quando per motivi difensivi considera se stesso in modo megalomanico e presuntuoso. Non si tratta di crescita dell’ autostima, come suggeriva il letterato francese Stendal, ma l’egotista sperimenta una sopravalutazione di Sé esagerata e non corrispondente all’approvazione psicologica degli altri che conoscono bene la persona.
Il narcisismo è anche esso difensivo. Indica le caratteristiche di come è il Sé (Self), cioè di come si sente e si considera.
Il Sé rappresenta l’immagine di come noi ci percepiamo e come appariamo al mondo.
Il Sé racchiude la struttura dell’immagine fisica, estetica e naturalmente psicologica di noi stessi, quindi come appariamo in quanto protagonisti che camminano lungo la nostra vita.
Come mi sento globalmente nella società? Quale potenzialità d’azione ho autenticamente? Cosa sto cercando? Dove sto andando?
Posso mentire a me stesso Falso Sè (Phony Self) e sentirmi più o meno come in realtà so di non essere, oppure cerco di essere onesto e riconosco i mei limiti e li metto in discussione per migliorami.
Se coltivo l’illusione, corro il rischio di mentire a me stesso e credere di essere quel che non sono.
La psicoanalisi distingue un Sé narcisistico che minaccia la sfera affettiva e l’incapacità di costruire relazioni interpersonali sane.
Il bisogno del narcisista è di compiacersi e di sentire di essere importante, nonchè di esistere come persona ammirata, arrivando anche a strumentalizzare le persone per ottenerne l’ammirazione.
Come è possibile in tutti questi casi quando sono estremi, riuscire ad amare e a costruire una relazione stabile, autentica e duratura?
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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