Il deludente ideale della Geisha

Il deludente ideale della Geisha

Nel teatro Kabuki nel Giappone del 1600 particolarmente diffuso a Kyoto e Osaka, Geisha (Geiko) significa: uomo d’arte.

Alcuni artisti di teatro travestiti da buffoni, potevano intrattenere certe dame e divertirle.

In seguito nel 1700, gradatamente il ruolo maschile del geico lascia il posto al ruolo femminile della donna e esso stesso scompare del tutto. Le geishe, che non andrebbero confuse con le prostitute, appaiono subito come donne-dame artistiche, gentili, raffinate e idealizzate.

In alcune occasioni molte di queste donne in realtà, già a quei tempi, integravano le loro grazie anche coinvolgendosi in amplessi sessuali sino ad esercitare più recentemente in modo distinto la professione di escort.

Ai giorni nostri, l’arte del teatro giapponese è riconosciuta a livello mondiale per la sua qualità. Di questa arte l’Unesco riconosce 4 generi classici indicati come patrimonio culturale dell’umanità.

Nel Kabuki tradizionalmente si celebra l’incontro con la divinità per mezzo del rituale sciamanico.

Il canto, la parola, la musica e la danza sono mezzi con i quali gli attori con maschere grottesche si esibiscono. Le narrazioni avvengono in terza persona e i dialoghi intrecciano con arte scene mistiche e tragiche.

Seppur con ispirazioni differenti, mi sembra che il teatro greco con i suoi rituali rammenti l’antico teatro greco del VI e V secolo prima di Cristo. Anche allora, grazie alla presenza del Coro che illustrava e interpretava gli avvenimenti per lo più sacri e politici dell’epoca, gli attori indossavano maschere grottesche e ripetevano più volte le scene secondo rituali che propiziavano le divinità e le enfatizzavano il valore delle gesta degli eroi.

Le maschere indossate rafforzavano e personificavano le emozioni degli attori. Il popolo partecipava agli spettacoli teatrali anche per un dovere civico e spesso si identificava con gli attori e molti di loro erano anche attivi ed entravano nelle scene teatrali.

Come il Kabuki, il teatro greco aveva una funzione educativa e catartica.

Una geisha tradizionalmente serviva nelle case il suo padrone in tutti gli aspetti della vita quotidiana, curava la cucina e il suo corpo usando delicati e morbidi massaggi, sino a stimolare con arte desideri erotici che attraverso un sublime coinvolgimento che trasportava a un sentire oceanico si realizzava un amore superiore; dalla cerimonia del thè al canto e alla poesia e a ogni forma d’arte di eleganza, incluso il ricamo di sofisticati tessuti di seta la geisha era presente e partecipe compagna innamorata che alleviava la vita del padrone con tutta la sua anima.

Ancora oggi esistono geishe nelle due città citate, Kyoto e Osaka, seppure in numero assai ristretto.

Oggi come allora non è raro che gli uomini giapponesi di tradizione preferiscano le geishe anziane piuttosto che le donne giovani preferendo l’esperienza: comunque tutte le geishe vengono ancora invitate in situazioni festose e rappresentative. In queste celebrazioni come vestali sacre le geishe si presentano vestite con lussuosi kimono e con la loro tradizionale grazia possono suonare uno strumento musicale, cantare e ballare.

In sede privata, la grazia del corpo della geisha, se desiderata dal cliente, si può esprimere in un amplesso sessuale come realizzazione di estrema catarsi e liberazione delle tensioni, insomma una icona mediatrice del senso.

Si può comprendere come la figura della geisha sia stata idealizzata in Occidente e ancora lo sia da uomini, sia da donne. In questo secondo caso alcune donne vorrebbero conformarsi a un modello di femminilità di estremo oriente che nella cultura occidentale non è mai esistito.

In Occidente tra alla fine dell’800 e inizio del 900 la geisha assume le caratteristiche di una vera e propria icona culturaleche nonostante le varie demistificazioni riesce sempre ad emergere. Pensiamo a Gabriele D’annunzio che nel 1888 scrive il romanzo Il Piacere, evocando l’erotismo e la sensualità tipica di una donna geisha.

L’impero dei sensi film del 1976 di Naghisa Oshima che narra di una storia giapponese vera degli anni 30 dove Sada viene condannata per la sua perversione sessuale nei confronti dell’amante ucciso dopo un amplesso perverso che indicava un forte bisogno di potere nel sesso.

Si potrebbe osservare che una certa iniziale idealizzazione della donna geisha sia ancora oggi la causa di alcuni conflitti nella coppia.

Per certi uomini la donna ideale evoca in fondo l’ombra della tradizionale geisha come icona di chi ha l’abilità di erotizzare il rapporto di coppia, insomma come una donna passionale e dedita all’obbedienza e versata all’erotismo raffinato e mai volgare.

Servizievole, non servile, ma comunque a totale disposizione dell’uomo che si considera ancora un po’ padroncello, la donna geisha è ancora evocata come una professionista in grado di far sognare l’uomo ancora nel suo intimo adolescenziale.

Nelle stesso tempo alcune giovani donne, si identificano ancora con l’antico ruolo femminile quando nella storia la donna era totalmente disposizione dell’uomo, se non a quei tempi serva del padrone.

Facevano eccezioni famiglie di alta casta nelle quali la donna era comunque sempre subordinata al padrone. Molte donne mediterranee sottomesse all’uomo hanno cercato di assomigliare al modello femminile della geisha: infatti la geisha attivamente sceglie di non subire, ma sceglie di governare l’uomo con le sue doti artistiche e seduttive di conquistarlo e di prendersi cura di lui con tutti i mezzi e di tenerlo sempre tutto per Sé.

Consideriamo che dopo l’Illuminismo la lenta ma decisa evoluzione della donna che passa anche attraverso il femminismo degli anni 60, 70 e 80 porta non solo alla parità nei diritti con l’uomo, ma anche a una capacità di pensiero complesse e superiore.

Se in Occidente, in alcuni dei giovani il modello geisha può ancora ispirare sicurezza perché idealizzato da entrambi i partner può di contro anche condurre a forti delusioni e crolli della coppia.

Questo tipo di donna, superato il primo periodo di innamoramento si trova, dopo aver partorito il primo figlio si trova a contatto con una realtà inaspettata. Un padre-marito che si rivela geloso della nascita del figlio e che richiede l’attenzione su di sé della quale poteva prima vantarsi.

Un donna che non più ispirarsi al modello geisha per i numerosi impegni quotidiani e i tanti e continui imprevisti.

La poesia che aveva sorretto l’inizio della coppia decade inesorabilmente e la donna si ricorda della sua conquistata indipendenza e cerca ora una piena autonomia.

La donna non rinuncia alla sue conquiste psicologiche e sociali, non rinuncia a quella autonomia  che è tanto le è costata e la geisha può apparire ai nostri tempi come un ideale romantico di ricerca di perfezione irraggiungibile e non compatibile con la realtà.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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