Lettera ricevuta
“Mi chiamo Luciano e ho 56 anni … sono disgustato dal comportamento di mia moglie Lucia che alletta entrambi i genitori anziani e malati perché sono bloccati permanentemente, stazionati nel loro letto: da diversi anni e, in media ogni tre ore, sono amorevolmente nutriti, cambiati i pannoloni, regolate le bombole di ossigeno e infine igienizzati i letti. Mia moglie è aiutata da una sorella minore e da due badanti fisse che sono spesso da rimpiazzare perché per entrambe il lavoro assistenziale risulta troppo oneroso. Lucia stessa supervisiona stressata, con cosciente senso di grande responsabilità, ad ogni ora del giorno l’intera situazione che assomiglia ormai alla cura intensiva e alla gestione di un piccolo ospedale.
Comprendo la devozione di mia moglie, ma personalmente confesso di sentirmi escluso e rifiutato da tutti mentre Lucia riserba tanto affetto, tenerezza e lavoro fisico per i suoi genitori, cosicché loro possono sentirsi come bambini in fondo accuditi e felici e in più coscienti di avere per se stessi le due figlie a disposizione per tutto il tempo che vogliono, in contrasto con il passato durante il quale le ragazze godevano di una certa autonomia.
Pensando alla mia personale famiglia d’origine riconosco di essere grato a mio madre e mio padre per quel che ho ricevuto da loro, ma non mi ridurrei mai ad entrare in una famiglia anche costituita dai miei genitori una volta dopo esserne uscito: Gestirei e gestirò i loro bisogni intimi e l’eventuale loro trauma personale assistenziale, sia in sede pubblica sia qualora ce ne fosse bisogno in sede privata. Il mio senso di pudore mi impedisce di violare la loro intimità, ma al contrario mi induce a rispettare le parti intime di loro stessi che credo siano sin da quando ero bambino, state per loro dignità e da loro stessi ben tenute lontani dai miei occhi e da quelli di mia sorella Franca.
Oggi vedo che mentre mia moglie entra in contatto con la famiglia senza la minima inibizione e senso di vergogna, io me ne sto in disparte come osservatore fuori campo.
Forse sono invidioso? Vorrei forse essere io stesso oggetto di tanto amore e cura, mentre mi sento appunto come un estraneo di fronte a mia moglie…?
Sebbene mia moglie e zia nonché i genitori mi invitino a entrare e far parte del loro numeroso clan familiare, io mi sento sconcertato e avvilito perché non avevo pensato che io stesso sarei stato in fondo abbandonato da mia moglie con la quale di fatto avevo creato un’altra famiglia insieme ai nostri due figli. Non desideravo entrare come membro di un’altra comunità assai allargata, costituita da tanta parentela così diversa dal mio mondo e dal mio modo di pensare.
Sia a me che ai miei figli sembra che la madre consideri, e conti per lei, soltanto la sua prima famiglia di origine. Tutte le decisioni anche economiche girano attorno alla sua famiglia borghese dove è cresciuta.”
Risposta
Ho riportato la lettere a di Luciano perché spesso mi capita di ricevere messaggi di questo tipo, dove al posto del dolore di Luciano, cioè di un uomo, ci sono giovani donne che si sentono infelici perché escluse dalle famiglie dei loro mariti per le stesse ragioni di cui parla però Luciano e che cercherò di comprendere.
Luciano, ha parlato di senso di disgusto riguardo al comportamento di sua moglie per il contatto che lei ha con i suoi genitori…Vediamo di comprendere il senso di pudore e vergogna.
I neonati sino ad una certa età esibiscono alla madre il loro corpo con un certo compiacimento. Nasce il senso del pudore come sentimento quando il bambino a circa 5 o 6 anni può iniziare già a vergognarsi nel farsi vedere nudo di fronte ad estranei.
Il bambino in quella fase riconosce le parti intime di Sé come proprie e non le sente più di pertinenza dei genitori come avveniva in passato, e percepisce che non appartengono a nessun altro.
Il piccolo desidera proteggersi come individuo e mantenere un certo riserbo verso il proprio corpo, verso i propri organi sessuali nel caso venissero inavvertitamente esposti agli occhi di altri.
Egli può sentirsi allarmato se si verifica una sorta di intrusione nel suo intimo, come se fosse ancora violato nell’immagine di Sé da un estraneo.
Questo significa che già a quell’età si sta formando nel piccolo un senso di identità fisica e di appartenenza a sè.
Il senso del pudore non è innato, ma da una certa età in poi è il bisogno di protezione del proprio corpo che è innato persino dagli sguardi dei propri genitori.
La distanza considerata protettiva dell’intimità dagli sguardi di altri varia però da cultura a cultura.
I vestiti che indossiamo costituiscono una sorta di difesa e di protezione che la Società e le Religioni hanno usato affinché le persone non siano al bando degli sguardi di tutti. Gli organi sessuali vanno per primi rispettati ma anche per questo per questo celati, e così anche la nudità del corpo che è sempre meglio non farla troppo apparire.
A questo tipo di censura siamo abituati da sempre, sin dalla nascita anche se da diversi anni è diminuita..
La copertura del corpo in tante società, come per esempio quella islamica per la quale di solito le donne coprono completamente sia il corpo sia il volto, è maggiore.
Il senso del pudore nasce e si esprime come rifiuto di mostrare il corpo nudo e sessualizzato. Bisogna però anche aggiungere che il senso di pudore genera un’emozione di vergogna, di autorimprovero e deriva da ciò che Sigmund Freud ha reso evidente quando sostenne che ogni individuo possiede fantasie incestuose più o meno inconsce. In Totem e tabù (1912- 1913), Freud scrive: … la psicoanalisi ci ha insegnato che la prima scelta dell’oggetto sessuale da parte del bambino è incestuosa, s’indirizza su oggetti rigorosamente proibiti, la madre e la sorella (Edipo); e ci ha permesso anche di riconoscere per quali strade l’adulto si libera dell’attrazione dell’incesto... Inoltre – aggiunge Freud a quei tempi – siamo giunti a ritenere che il rapporto con i genitori, caratterizzato fondamentalmente da pretese incestuose, costituisca il complesso nucleare della nevrosi.
In altre parole, Freud ritiene che tra genitori e figli i rapporti d’amore non escludano la presenza di inconsce fantasie e desideri incestuosi, seppur vengano normalmente bloccate dal proibitissimo tabù dell’incesto. Il tabù incestuoso però in alcune tribù primitive era almeno una volta all’anno tollerato.
Già nell’Odissea di Omero, si evidenzia il senso del pudore quando Ulisse si sveglia su una spiaggia sconosciuta al suono di voci femminili e si copre gli organi genitali con foglie davanti a Nausica. Di pudore si parla poi nella Bibbia.
Il senso del pudore nelle leggi dei vari Paesi Europei e occidentali in genere gli Stati Uniti, Canada, Australi è difeso e protetto da leggi penali ad hoc.
Famiglie appartenenti a culture latine dominanti come in Brasile, America Latina, Columbia, Argentina, Messico, Cuba, Spagna, Portogallo, Italia del Sud, ma anche in parte del Medio Oriente, trattano il pudore con meno interesse.
Il fatto è che da un punto di vista antropologico l’immagine della famiglia di origine, genetica, di impronta latina ha un valore sacrale che mantiene il suo potere a livello carnale. L’allevamento dei figli da parte delle madri e dei padri mantiene abitudini simbiotiche e fusionali che accompagnano la crescita sino a tardo sviluppo.
Nel bellissimo film di Pedro Almodovar del 1999, Tutto sua mia madre, la passionalità dei sentimenti sembra sfociare in diversi momenti simil-carnali tra parenti. Che la carne sia debole sembra essere sempre un tema presente in ogni film del grande regista.
Il contatto fisico è spesso nella cultura latina vagamente incestuoso se non da considerarsi tale quando la simbiosi e fusionalità dei corpi tra parenti supera, seppur per affetto, la linea di demarcazione del buon senso civile.
La devozione dei figli è la base della famiglia, dove la madre matriarcale è chioccia che protegge e controlla tutto attorno a sé. La devozione verso di lei è assoluta e indiscutibile. Ed è ricambiata al massimo.
Le scene familiari dei film di Almodover contemplano sesso, colori, disordini di panni, cibo, bagno, bisogni intimi come se tutto insieme la vita sia vissuta bella e sublime con l’amore di quella gigantesca mamma al quadrato.
Quindi caro Luciano forse Lucia non la vorrebbe tenere lontano per escluderla, ma inconsapevolmente comportandosi così come le è stato insegnato.
Da uomo adulto oggi si accorge ora di questa singolare situazione, ma non deve meravigliarsi di quel che le è capitato; si tratta forse di una famiglia latina: questo genere di famiglia mantiene la priorità del valore del clan come fosse una comunità che mantiene profonde radici storiche delle quali non può fare a meno.
Queste famiglie ahimè, nel loro amore caldo e colorato, sentono una sorta di possesso inconscio dei parenti, un sentire quasi incestuoso, fusionale, simbiotico, carnale, il clan non è avvezzo a tenere lontano i corpi di coloro che sono considerati parte integrante delle loro famiglia.
Possiamo pensare ai modello degli anglosassoni dove le abitudini familiari sono assai differenti, ma senza dolercene troppo!
I giovani anglosassoni infatti, quelli del nord Europa e mondo amaricano del Nord, includendo l’Australia e nuova Zelanda, incoraggiati dagli stessi genitori vanno all’età di sedici anni nel College e quasi sempre quando escono dalle spesso prestigiose Università sono adulti, già laureati o in attesa di svolgere il dottorato di ricerca. I genitori sono orgogliosi della loro indipendenza e del valore conquistato dai loro figli, ma si adattano a vivere a distanza.
Le famiglie per i giovani anglosassoni vengono maggiormente riconosciute nelle nuove famiglie, quelle che i giovani creano nuove, ma molto meno quelle di origine sono al centro del loro interesse.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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