Gli antichi romani avevano costruito acquedotti in tutto l’Impero ed era un loro vanto aver portato l’acqua ovunque.
Ma l’acqua che giungeva ai romani non era sempre potabile perché scorreva indisturbata a cielo aperto ed era piena di microrganismi e di infezioni. Era anche ricca di depositi nocivi quali piombo e portava malattie quali il saturnismo (malattie che colpivano i denti) e varie malattie veneree quali erpes zoster, candidosi, gonorree e altre infezioni contaggiose.
Non c’è da meravigliarsi che malattie esentematiche quali il morbillo, scarlattina e anche tifo prendessero piede e che forse erano divenute anche endemiche negli anni dell’impero, in partcicolare dopo 110 d.C.
L’imperatore Nerva adottò il console Traiano designandolo alla successione di imperatore.
Quando Nerva morì nel 98 dopo Cristo, Traiano rientrò a Roma un anno e mezzo dopo, cioè alla fine di una ispezione dei confini germanici e da imperatore assunse numerose iniziative per migliorare la qualità di vita dei cittadini.
Nel 106 conquistò la Dacia annettendola come nuova provincia romana.
La conquista fu celebrata a Roma con feste, giochi e spettacoli che si protrassero per quattro mesi, e per l’occasione venne eretta nel Foro romano la celebre Colonna Traiana.
Le conquiste dell’imperatore, tra il 106 e il 116 d.C., portarono all’annessione di due nuove province, l’Armenia e la Mesopotamia del nord; poi occupò Ctesifonte, capitale della Partia, sul fiume Tigri, e si spinse fino al golfo Persico.
A questo punto Traiano, ormai già debole di salute, decise di rientrare in Italia, ma morì prima di giungervi. Gli succedette il cugino Adriano.
L’Impero Romano entrò in crisi a partire dal III secolo a causa della Peste Antonina che colpì tragicamente le province dell’Impero e la città di Roma stessa nel 166 d.C..
La peste arrivò a sterminare fino al 93% della popolazione in alcuni centri urbani.
Nella sola Roma si parla addirittura di 2 mila decessi al giorno. Le epigrafi diminuirono del 40%.
Galeno di Pergamo, medico a corte, parla di vaiolo.
Il laboratorio medico di Galeno ,che è stato ritrovato sotto la Basilica di Massenzio nei fori imperiali, tre metri sotto la Via Sacra, trova una sua testimonianza scritta che si riferisce al vaiolo. Una testimonianza dello stesso Galeno, nei suoi scritti, ci riporta i seguenti sintomi: febbre alta, pustole cutanee nere, lesioni al cavo orale e laringe, tosse, vomito, alitosi fetida, ulcerazioni vescicali, insonnia e disturbi mentali.
Anche altri studiosi contemporanei pensano che l’epidemia sia probabilmente stata di vaiolo ricavando un dipinto da un ceramica antropomorfa custodita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
La ceramica mostra faccia e corpo di una scultura umana completamente butterata.
l vaiolo, che dal tardo latino variola significa vario, chiazzato, è una malattia infettiva acuta, contagiosa ed epidemica, di natura virale, caratterizzata da un tipico esantema vescicolo–pustoloso.
Il morbo virulento decimò le legioni che controllavano il Limes dell’Impero sul Danubio che fu intromesso dall’orda germanica dei Marcomanni e da alcuni loro alleati come i Quadi. L’imperatore filosofo storico Marco Aurelio Cesare Antonino, che si trovava in quel momento con Galeno, fu colpito dal male e sopravvisse, ma non poté opporre una valida resistenza per mancanza di soldati poiché erano stati falcidiati dal male.
Dalla descrizione di Galeno emerge che i pazienti, che non morivano, guarivano entro il 9° e il 12° giorno del morbo.
L’imperatore sosteneva la credenza che la peste fosse il risultato della collera divina e osservava (forse anche personalmente) una varietà di riti religiosi, romani e stranieri con scopo purificatorio. Proclamò però anche una persecuzione dei cristiani, motivando questa volontà con la constatazione che questi avrebbero favorito l’ira divina, perché si rifiutavano di adorare gli Dei di Roma.
I barbari giunsero fino ad Aquileia nell’Italia del Nord e in seguito Marco Aurelio Cesare Antonino riuscì con grande abilità, nonostante un esercito indebolito dal vaiolo, a portare la guerra fino al territorio oltre il confine romano, sino i confini dell’isola d’Elba.
Ma, la morte colse l’imperatore filosofo a Marzo del 180 a Vindobona (l’attuale Vienna).
Il figlio Commodo che gli succedette, per il valore dei suoi generali, riuscì a sconfiggere più volte i Germani, ma non riuscì ad annettere nuove province nei territori romani.
Il vaiolo, che veniva chiamata Peste Antonina, forse come sinonimo di malattia contagiosa, portò ovviamente una paurosa carestia, decimando l’esercito dell’Impero Romano che perdeva nel frattempo milioni di abitanti.
La grave crisi economica, a causa della mancanza di manodopera dei braccianti necessaria alla coltivazione dei campi, impoveriva irrimediabilmente i proprietari terrieri e così indebolì l’Impero.
Non si trovavano nuovi soldati e il costo per mantenere un esercito diventava sempre più elevato. l’Impero Romano spendeva almeno il 70% dei soldi pubblici per tenere l’esercito pronto per le battaglie.
Il senato fu pesantemente colpito dalla peste e diverse nobili famiglie si estinsero lasciando la classe dirigente dell’Impero senza guida.
Durante l’anarchia militare del III secolo, l’impero devastato dalle incursioni dei barbari lungo i confini non adeguatamente difesi dalle legioni, impegnate a guerreggiare fra loro, dovette ricorrere all’arruolamento di contingenti barbari.
Dal 260 al 268 l’esercito divenne una casta fedele totalmente all’imperatore, con ufficiali, centurioni e anche consoli sempre più fedeli al loro tornaconto personale piuttosto che agli interessi dello Stato.
L’incapacità delle istituzioni romane di venir incontro alle esigenze della popolazione in un’epoca di morte, invasioni, pestilenze e carestie, avvicinarono sempre più gli abitanti dell’Impero a religioni salvifiche e monoteiste come il Cristianesimo, allontanando la gente dalla religione tradizionale romana, ideologia imperiale fondante.
Con Diocleziano (284 – 305 d.C.) il vaiolo era già sparito e l’Impero uscì finalmente dalla crisi del III secolo, ma non fu più quello di prima. Fu l’istituzione statale romana a sopravvivere, ma la società romana non si riprese mai più.
L’impero nel IV e poi V secolo solo in rari casi fu unito politicamente sotto un solo imperatore e dal 395 d.C. non lo sarà mai più, diviso in Impero d’Oriente con Capitale Costantinopoli ed Occidente con Capitale Milano prima e Ravenna poi, che cadde ad Occidente Romolo Augusto in modo definitivo sotto Odoacre re degli Ostrogoti nel 476 d.C..
L’epidemia, cioè la peste che forse era vaiolo secondo Galeno, poteva aver avuto un inizio prima del 165 d.C e sarebbe durata sino al 170 e oltre d.C, provocando globalmente circa 30 milioni di morti, se consideriamo che il territorio dell’Impero forse era contaminato precedentemente da malattie come il morbillo e la scarlattina e forse anche dal tifo.
Gli storici e gli epidemiologi giunsero alle conclusioni che fu la biologia a iniziare la caduta di un impero così vasto e potente quale quello che aveva raggiunto l’apice nel mondo conosciuto al tempo di Traiano.
Certo le invasioni barbariche contribuirono notevolmente alla caduta dell’impero di Roma insieme ai costi di un’economia incontrollabile per controllarne i confini.
Il vaiolo, o la peste nera, era un’espressione di una scarsa igiene, dovuta alla scarsa conoscenza del contagio e delle infezioni che circolavano. Il grande commercio e il traffico internazionale che l’antica Roma sopportava con fatica non permetteva di controllare l’insorgere delle malattie. L’età della vita media si aggirava attorno ai 27 anni.
I corpi dei morti erano tumulati e seppelliti ove si poteva, ma in età di epidemia nemmeno si trovava posto nelle fosse comuni e i cadaveri erano talmente tanti che, dopo una lunga attesa, venivano bruciati. Non esisteva distanza sociale. Spesso le cause erano considerate come punizioni degli dei. Traiano stesso incolpava i cristiani come capro espiatorio dell’epidemia accusando la loro religione tacciata di aver dissacrato quella tradizionale romana.
I romani vantavano di possedere una medicina avanzata, in parte ereditata dagli egiziani, etruschi e greci, ma erano disorientati di fronte alle malattie invisibili e letali.
In effetti per quell’epoca, i romani possedevano nel mondo conosciuto esperti chirurghi.
Questi sapevano operare e in assenza di antibiotici, potevano usare medicamenti erbivori capaci di disinfiammare il corpo e le ferite da taglio mirabilmente.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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