La sofferenza psicologica a causa del virus

La sofferenza psicologica a causa del virus

Dopo parecchi mesi di chiusura sociale, sia totale sia parziale, la gente può accusare parecchi sintomi di insofferenza. Ho osservato alcune di queste reali sofferenze, in particolare quelle che compaiono in alcuni soggetti dopo aver trascorso un po’ di tempo bloccati a casa.

La sindrome del sequestro: originariamente questo quadro clinico si riferisce al sequestro vero e proprio, quando cioè una o più persone sono rapite e nascoste in un posto segreto e introvabile. Le vittime si sentono sepolte vive. La sofferenza è immaginabile ma variabile a seconda dei casi. L’angoscia che emerge riguarda la minaccia per la propria vita e il senso di isolamento. Abbandono e claustrofobia poi attivano in queste persone panico e soffocamento. Tutti questi sintomi sono collegati ad un senso psichico vissuto come mortifero.

Queste persone sentono le prescrizioni come una violenza esercitata su di loro che debbono subire: si ribellano e si difendono con meccanismi svalutativi che negano la pericolosità del virus.

La sindrome della capanna: si tratta di un comportamento ritroso, titubante che induce la persona a rinchiudersi e a restringersi in un luogo piccolo, chiuso e virtualmente protetto. Spesso questo spazio protetto finisce per essere vissuto dagli stessi pazienti come soffocante.

La costrizione imposta dall’esterno di stare chiusi in casa, può indurre una sorta di reazione emotiva, forse anche di protesta.

In altre parole, queste persone rinunciano alla libertà reagendo in eccesso con un atto inconscio di negazione generalizzato, che si esprime con la loro stessa letargia.

La capanna comunque rappresenta un simbolo di protezione, cosicché la vita è concepita da questi pazienti solo indoor.

Nelle fantasia inconscia la capanna suona come un guscio che contiene il pulcino: chi ne soffre si comporta come se fosse anestetizzato e sperimenta un cluster, un insieme di emozioni non decodificabili e una sorta di passività e di sonno continuo e persistente.

Si tratta forse di una regressione a stati infantili che inducono l’individuo a negare inconsciamente la realtà esterna.

La sindrome del nido pieno: originariamente questa espressione, nido pieno, si riferisce alla situazione nella quale la famiglia si accorge che con il passar del tempo i figli sono diventati adolescenti e adulti, ma non decidono di organizzarsi in una nuova famiglia. Questi giovani adulti permangono a tempo indeterminato nella famiglia d’origine. Tale convivenza senza tempo con i genitori genera nel padre nella madre un senso depressivo: si tratta di un senso di inadeguatezza  che i genitori traducono in un pensiero spesso non consapevole potrebbe suonare: se i nostri figli non sono indipendenti, non siamo stati in grado di farli crescere bene, quindi in qualche modo abbiamo fallito: inoltre il nostro ruolo non potrà mai diverso dal passato, nè sentirci liberi dalla responsabilità verso di loro .

Inoltre con l’aumentare delle continue nuove esigenze dei figli adulti, lo spazio familiare diventa sempre più stretto. Il senso di pienezza familiare diventa dominante e ossessionante.

Con la pandemia e le costrizioni di prigionia, questa situazione si riproduce con tutti i membri familiari, sempre e tutti insieme non appassionatamente a casa.

Lo spazio individuale viene a mancare e il senso di compressione e di deprivazione in alcuni soggetti può dar luogo a sintomi psicosomatici come dermatiti, disturbi allo stomaco e cefalee.

Nelle città certamente le persone di ceto elevato risentono molto meno di questi sintomi perché probabilmente vivono in spazi abitativi ampi e magari possono usufruire dei vantaggi che offrono i giardini privati. Per chi vive in piccoli paesi e in campagna la situazione è certamente migliore per via di uno spazio meno sotto controllo e quindi vissuto come più libero rispetto a chi vive nelle grandi città.

Impotenza e depressione: il senso di mancanza di libertà per un periodo di tempo protratto può causare sintomi depressivi in particolare influendo sull’impotenza negli anziani e in quella di bambini e adolescenti.

Negli anziani, specialmente pensionati e inattivi, si può verificare un senso di fine vita anticipata perché il vissuto prevalente è quello di essere entrati in tunnel che non vede mai il fondo luminoso. Poiché nell’anziano il senso della fine, per quanto tenuto il più possibile nell’ombra, è ugualmente presente alla coscienza, cosicché la mancanza di libertà nel muoversi fa riemergere i fantasmi: la costrizione è quindi vissuta come una sottrazione del tempo di vita e una accelerazione inaspettata verso la propria scomparsa.

Le statistiche annunciano percentuali alte di aggravamento psichico e anche le farmacie rilevano elevate quantità di prescrizioni di psicofarmaci.

Nei bambini,  vivere con i genitori senza andare a scuola e giocare all’esterno modifica la loro percezione del mondo. I primi tempi di blocco a casa potevano essere vissuti come un diversivo e fuga autorizzata e divertente dalla scuola. Ma dopo mesi, la realtà dell’imposizione assume una dimensione fantasmatica surreale, pericolosa e per i più piccoli persecutoria.

I più grandi e adolescenti hanno bisogno di socializzare e così la scuola rappresenta la risposta di un ambiente che, attraverso disciplina, conoscenza, cultura e elaborazione civica permette una giusta mediazione tra fantasia e realtà.

La sottrazione di un tale risposta genera non solo un ulteriore aggravamento del senso di vuoto e smarrimento, vissuti che già devastano molti giovani, ma peggiorano l’aggressività sia passiva, sia attiva. Non sono rari disturbi quali autolesioni attraverso tagli con lamette da barba per lenire l’angoscia del nulla, o anche disturbi antisociali come devastazioni di aree pubbliche e private, incendi e graffiti vandalici ovunque.

Bisogna riconoscere che, oltre la pandemia virale, esiste una pandemia economica devastante, ma anche una pandemia psichica da non sottovalutare.

Roberto Pani
Specialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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