Lo psicologo spagnolo Josè Elias chiarisce cosa significa postare nei social: si tratta di adottare comportamenti al fine di mettere in circolo un’immagine positiva di Sé.
Penso che il fine ultimo sia di mostrare, a coloro che ci leggono e ci vedono, prima di tutto di esistere, poi di esistere felici e convinti che quel che si è pubblicato si è e ci appartiene, e noi siamo dentro a quel bello che appare nell’immagine fotografica.
Certo che se si pubblica un bel panorama di un mare blu e trasparente oppure di un magnifico bosco rigoglioso si invita a goder di una stupenda vista e condividerla con chi la sa apprezzare e che pubblicherà per questo un “mi piace“.
L’aspetto positivo dei social consiste potenzialmente nel desiderio di condividere e di allargare i vari personali sogni agli altri. E’ implicita una buona dose di fiducia perché si contattano e accettano persone che non si conoscono, ma si suppone che possano diventare in qualche modo amici.
Si desidera inoltre uscire dall’isolamento in cui molte persone, non solo i giovani, si trovano. Si perché l’isolamento è uno dei mali della nostra epoca.
Per quanto riguarda i giovani sono numerosi gli scrittori che denunciano il senso di vuoto e di demotivazione che circonda chi si appresta a entrare nel mondo sociale del lavoro: personalmente faccio riferimento all’articolo dell’8 Novembre u.s. l’ospite inquietante di Nietzsche e l’inquietante Virus.
Bisogna considerare che viviamo in una società delle immagini: sembra a molta gente che tutto quel che conta debba essere confermato da immagini. In altre parole, le televisioni confermano con le trasmissioni molte legittimità di persone che compaiono in video.
Giornali e riviste con le loro pubblicazioni rendono famose le persone.
I video sono sempre più diffusi da una parte all’altra del pianeta in pochi istanti.
La celebrità cresce dal nulla in un attimo.
I social non sono sorti per caso!
Ecco che i selfie, cioè le auto-fotografie di se stessi in diverse situazioni, ambienti e circostanze siano diventate cosi comuni e diffuse.
Un tempo si usava l’auto-scatto della macchina fotografica, oppure si chiedeva a un passante di fare il favore di fotografare la coppia in vacanza in un certo posto. Oggi non c’è ne è più bisogno perché lo smartphone sollevato e distanziato opportunamente, impressiona l’immagine che si desidera.
Il bisogno dei selfie si esprime con un’immagine fotografica che appare come una sfida: eccomi come sono, spero piacevole, gradita/o, oppure: ero anch’io là in quel posto insieme agli altri!
Un bisogno narcisistico di esserci che si può comprendere data la situazione generale.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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