La tecnica e la cultura del setting, cioè della cornice, del clima situazionale costituito da poche normative che la psicoanalisi richiede, segue un processo psicodinamico simile a un viaggio di cura.
Dai tempi di Freud in poi, il setting suggeriva che la relazione, pur coinvolgente la coppia, non facesse differenza tra lo psicoterapeuta, medico o psicologo, maschile o femminile, giovane o anziano, purchè formato scrupolosamente a dovere.
Non si distingueva se appariva prevalentemente giovanile o anziano, se fosse donna o uomo.
Ciò che era richiesto al professionista nella sua attività riguardava, e riguarda, l’obbiettività, ma anche la capacità di astenersi dall’interferire con la libertà dei desideri dei pazienti.
Tale chiarezza di pensiero e di osservazione, dovuta anche alla stessa formazione, doveva permettere che il genere e gli anni di anzianità non contassero molto nei risultati finali della cura.
Oggi in effetti questo aspetto del professionista non distingue tra donna e uomo a qualunque età.
Le persone molto giovani possono far pensare a minore esperienza, ma non vuol dire necessariamente che siano meno brave dal punto di vista professionale.
In ogni modo, anche se all’inizio di un colloquio di presa in carica del paziente certe impressioni emotive potevano influenzarlo, durante il procedimento della cura accadeva che tali variabili si sarebbero con il tempo effettivamente scemate sino ad azzerarsi.
In altre parole, il paziente sarebbe stato coinvolto nella relazione, come del resto anche lo stesso psicoanalista, e così il genere e l’età supposta dell’analista sarebbero scivolati in ultimo piano.
Tale trascuratezza verso le caratteristiche della figura terapeutica era rinforzata dal fatto che il lavoro di cura si svolgeva in un tempo con alta frequenza settimanale.
Le sponde del setting erano concepite allora alte e protettive.
Freud lavorava tutti i giorni con ogni singolo paziente ad eccezione della giornata di Domenica, (leggi: Ia mia analisi con Freud- Blanton Smiley)
Il metodo classico adottato da Freud era un metodo di cura che doveva servire a creare un processo dinamico molto intenso tanto da vincere certe specifiche resistenze dei pazienti e al tempo stesso proteggerli da possibili acting out, cioè da messe in atto emotive, tanto impulsive quanto fuori controllo dal setting che avrebbero potuto comprometterlo, danneggiandolo o facendolo saltare.
I cambiamenti positivi dovuti alle elaborazioni dei processi inconsci potevano essere oscillatori perché ostacolati dalle resistenze di parti del Sé.
I pazienti desiderano il successo della cura, ma spesso la temono e si oppongono con tutte le loro forze psichiche evitando di assumere, con la guarigione, la responsabilità di raggiungere proprio quel che desiderano, ma di cui invece hanno paura.
Uno studio da me compiuto diversi anni fa, in cui è stato somministrato un questionario rivolto a 778 persone, test esteso grazie agli studenti universitari delle varie Regioni all’intero territorio nazionale, consisteva nello scrivere un ipotetico aspetto di un loro presunto psicoanalista che li attendeva sulla soglia dello studio e di descriverlo esteticamente.
Per l’80 per cento degli intervistati non era importante il genere, tra uomo o donna, concepiti comunque entrambi di età medio-alta. Gli altri 20 per cento circa degli intervistati desideravano invece vedere persone di sesso opposto al loro, piuttosto giovani e spensierati. In altre parole, figure non impegnative.
Ho ovviamente tratto l’immagine secondo la quale lo psicoanalista è ben concepito in infiniti e differenti modi, modi che non sono percepiti come era stato originariamente pensato dall’inventore del metodo psicoanalitico.
Sin dall’inizio, l’età che appare e il genere dello psicoanalista si riferiscono, per il paziente, a un personaggio saggio che sa darti i consigli giusti e che ti guida verso dove vorresti andare in base alla propria esperienza e conoscenza tecnica che elimina i sintomi che ti disturbano, e che si comporta come un buon genitore ideale.
L’impegno del trattamento psicoanalitico spaventa a causa delle potenziale dipendenza da un personaggio tanto potente, quanto magico che è esperto di mente umana e aiuta a raggiungere la stabilità: Per questo risulta a molti troppo impegnativo e oneroso.
Lo psicoanalista, in base ad altre domande, che non riporto in tale sede, sembra essere immaginato da alcuni nella mente come un personaggio biblico o magico-suggestivo.
In realtà lo psicoanalista è una figura che spontaneamente intercetta alcuni interlocutori interiori significativi che lavorano emotivamente in noi e consapevole di ciò, cerca di favorire un dialogo e ridimensionare e liberare il paziente da antiche angosce e pesanti doveri inutili, privi di senso.
Le parti non digerite non concedono lo spazio per elaborare ciò che è rimasto bloccato per tanto tempo e e permettere d’impadronirsi appieno della propria vita.
Si cerca quindi di aiutare il paziente a sentirsi più libero, più convinto dei propri autentici desideri e essere meno carico di placare bisogni urgenti senza saper dove egli sta andando.
Tutto questo periodo di cura richiede tempo, buona motivazione e capacità di costanza.
Oggi sappiamo che la ricerca di un volto seduttivo, maschile o femminile, giovane o anziano, rappresenta un bisogno inconscio di recuperare qualcosa di fondamentale.
Si perché dietro alla ricerca di un’immagine definita c’è il desiderio del recupero di ciò che o è mancato o stato percepito come illusione, e che in seguito, a causa delle esperienze è stato fortemente disilluso.
Spesso l’analisi è vista come una ricerca magica e troppo ingenua, tanto da non permettere al cliente di sopportare il lungo tempo che la scoperta di ciò che è autentico gli richiederebbe.
Per questo troppe analisi vengono interrotte senza che il risultato sia stato completato e convincente.
Bisogna ammettere anche che negli ultimi anni molti psicologi non hanno avuto una sufficiente formazione e si dischiarano psicoterapeuti e psicoanalisti senza aver ricevuto la necessaria competenza, ma le leggi non sono abbastanza chiare a tale proposito e questo danneggia la reputazione di seri professionisti.
Comprensibilmente, la mancanza di lavoro e l’economia in crisi in Italia induce i giovani laureati, nemmeno specializzati a entrare nel mercato troppo in fretta.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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