Naturalmente quando una persona non può mai arrivare puntuale a un appuntamento si suppone che le motivazioni siano inconsce.
Si nota che alcune di queste persone, se non la maggior parte, riesce all’ultimo momento, sebbene a mala pena, ad arrivare in tempo per prendere il treno giusto, l’aereo, entrare in uffici pubblici, negozi o altro. Tutti questi mezzi di trasporto o esercizi infatti non attenderebbero i ritardatari.
Bisogna immaginare allora che nel passato remoto, a livello sia inconscio, ma anche a livello semicosciente, il ritardatario sistemico abbia appreso all’interno del Sé un meccanismo di difesa, a mo’ d’imprinting.
L’imprinting è una forma precocissima di apprendimento, come una fotografia istantanea che tende a permanere per sempre, a meno che forti situazioni emotive non decodifichino e sopiscano: questo stimolo appreso, che assomiglia appunto a un’istantanea fotografica, si deposita nel mondo psichico interiore.
Ma quali sono le motivazioni profonde che inducono a difendersi dalla puntualità sentita come rigorosa e che genera tale meccanismo di disobbedienza acquisita?
Sembra che la puntualità sia inizialmente percepita come una norma severa che sottomette le persone.
Chi reagisce con il ritardo sembra come se fosse costretto a disobbedire per salvarsi da qualche frustrazione intollerabile.
Alcune voci interiori suggeriscono all’Ego, protagonista che metaforicamente si sovrappone come Psichismo al Sistema Nervoso Centrale, di sfidare una sorta di autorità.
Da bambini o adolescenti la relazione affettiva che noi stabiliamo con i nostri genitori e parenti è pervasa da ambivalenza emotiva e quella parte avversa viene inglobata e assorbita in alcuni atti inconsci.
Tra questi possiamo recuperare la ribellione che si manifesta proprio con la disobbedienza.
Può diventare più chiaro al lettore come il giungere sempre con un quarto d’ora di ritardo, a volte mezz’ora, a volte con un’ora di ritardo o anche più a seconda delle circostanze, possa rappresentare una disobbedienza che segue un’inconscia protesta.
Questo accande anche durante la fanciullezza e durante il periodo, forse interminabile, dell’adolescenza, a causa anche di certe imposizioni educazionali, che frustrano però gli affetti della relazione secondo il principio del piacere freudiano che regna nei fanciulli e adolescenti.
Certi bambini e adolescenti sentono la loro libertà minata nei momenti i cui vorrebbero appagare i loro bisogni, mentre si sentono quasi soffocare quando appaiono oppressi da troppi compiti richiesti.
Mettere in atto il dispetto dell’arrivare ritardo è un modo di reagire e di sentirsi relativamente liberi e protagonisti a cavallo delle situazioni noiose.
Da adulti diventano per lo più coscienti di fare uno sgarbo verso chi li aspetta, ma spesso non sono in grado di controllare i loro impulsi di ritardatari. Sanno cosa implicherà, si scusano molto, sentono di far brutta figura e spesso ci rimettono qualcosa, ma non possono fare a meno di giungere in ritardo.
E’ chiaro che giungere in ritardo oggigiorno, specialmente nelle grandi città, può essere molto comprensibile anche se avvedutamente ci si prepara per l’appuntamento tempo prima.
I veri ritardatari di professione trovano infatti buoni pretesti per giustificarsi di fronte a chi li attende da tempo. In genere si sentono vittime di piccoli incidenti di telefonate alle quali dovevano rispondere, di traffico sotto le feste, di dimenticanze varie, di tram bloccati, ecc..
Ma loro sanno in cuor loro che avrebbero potuto provvedere diversamente.
Racconto una vicenda personale accadutami nel passato.
Per diventare psicoanalisti occorre dopo essere iscritti all’ordine dei medici oppure degli psicologi.
Prima di cominciare il lungo training personale e personalizzato occorre passare una selezione che membri della Società Psicoanalitica con funzione di Training svolgono sugli aspiranti allievi.
Nel mio caso i tre membri della commissione erano dislocata a Roma e gli appuntamenti nei tre studi erano sparsi in città.
Avvenivano solitamente tra Venerdi e Sabato.
Quindi nel mio caso, con un minimo di ansia e preoccupazione occorreva che mi recassi nell’arco di tre settimane differenti a incontrare i supervisori della Società di Psicoterapia Psicoanalitica per svolgere i colloqui di selezione.
Ogni volta prendevo un treno da Bologna, nell’epoca in cui non erano in funzione i treni veloci. Prendevo un treno che partiva alle 5 del mattino per arrivare a Roma attorno alle 10 con grande anticipo e con previdenza perché desideravo giungere alle varie destinazioni per i colloqui e aspettare quel che serviva per essere perfettamente puntuale con: né in anticipo, né in ritardo. Non volevo fare alcuna brutta figura rispetto alle ore concordate.
Ogni volta capitava che, nonostante l’anticipo con cui giungevo alla Stazione Termini, quei Venerdi o quel Sabato era attuato lo sciopero dei ferro-tranvieri che prevedeva il blocco di passaggio in certe aree di Roma, lo sciopero dei taxi, alcune strade chiuse per rifacimento del fondo, insomma l’anticipo si trasformava in lieve ritardo.
Giunto a suonare il campanello del supervisore, con una certa ansia iniziava il colloquio sotto lo sguardo del dottore o dottoressa che aveva il compito di selezionarmi o di rifiutarmi per essere accettato al training.
Sentivo l’annotazione del mio ritardo e scusandomi, spiegavo l’accaduto. Di solito non c’era reazione, ma il colloquio in sé poi volgeva al relax.
Mi ero più volte tormentato però pensando che i Supervisori non mi avessero creduto rispetto alle scuse del mio ritardo. Mi dicevo: proprio quei giorni dovevo essere in ritardo!!
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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