Si tratta di un’epigrafe che è diventata un’icona associata a Vittorio Alfieri.
Questa ormai notissima iscrizione si riferirebbe alla costrizione secondo la quale il poeta si sarebbe fatto legare a una sedia per far emergere la voglia di studiare oltre misura. Studiare era inteso con lo spirito di sacrificio tanto da doversi costringere a una sedia per non desistere e significava quindi efferata disciplina a costo di soffrire.
Vecchi insegnanti infatti hanno insistito per anni portando il poeta come esempio e modello di volontà di acciaio poiché egli riusciva con il sacrificio a farsi entrare in testa e imprimere nella memoria frasi e poesie di ogni genere. Si affermava che studiare rappresentasse per prima cosa un’importante disciplina della mente e che la distrazione dallo studio conducesse a dispersione del pensiero, oggi si direbbe del pensiero liquido.
Niente di più sbagliato tant’è vero che molti studenti del passato percepivano l’Alfieri come un pesante e noioso letterato e da questi finiva per essere poco considerato.
L’Alfieri con il fortissimamente voglio era quindi inteso dagli scolari come intellettuale, simbolo del puro esercizio mnestico, un letterato che confondeva la volontà mentale come se si trattasse di un esercizio fisiologico, dei muscoli profondi volontari, e non con il vivo desiderio e con la passione che invece ha accompagnato il poeta nella sua intera vita artistica.
Si è trattato di una leggenda: più recentemente invece, da una lettera del grande letterato è emerso che il poeta si sarebbe fatto legare ad una sedia per contenere il proprio impulso nel precipitarsi da Gabriella Falletti di Villafalletto, donna della quale si era fortemente e passionalmente innamorato.
L’Antigone di Sofocle riprodotta nella versione teatrale dell’Alfieri (1783-89) che ottenne 40 repliche, certamente costituisce una delle tante prove dell’espressione passionale dell’autore e non del masochistico bisogno di sottoporsi alla tortura della costrizione alla sedia per dover studiare.
La passione non deriva dal giovanile e puro impulso del bisogno, ma dal desiderio maturo che rende protagonisti nell’esprimere ciò che proviene dall’anima profonda.
Volere è, come Schopenhauer sostiene, cogliere la cosa in sé : noi siamo volontà di vivere, cioè un desiderio pervasivo che attraverso il corpo e la mente (e non soltanto biologico) ci spinge a vivere e ad agire.
Ancor più F. Nietzsche con il concetto di volontà di potenza descrive un pensiero egoico del io non obbedisco, io sono creatore, io non rinuncio, io sono protagonista di un nuovo mondo sopra il vecchio, quello che è stato cancellato dalla religione timorosa dei sacerdoti, ma che ha intimorito ed appiattito i popoli.
La paura, la mancanza di coraggio, l’invidia verso chi mai desiste di fronte a nulla, ossia a ciò che ha ridotto la volontà della massa alla rassegnazione e all’apatia, è combattuta dalla volontà di potenza, dal super-uomo che al di là della morale comune ha una sua etica e vince ogni resistenza passiva.
La volontà per M. Heidegger è essere nel mondo ma non con lo scopo di rassegnarsi alla supremazia della tecnica, ma per aprire attivamente l’umanità a un linguaggio alternativo, quello libero e nuovo della poesia.
I poeti sono infatti produttori di un nuovo linguaggio libero che sconfigge la divinizzazione della tecnica-mercato destinata a sua volta a demolire gradualmente la bellezza della natura.
Il linguaggio della tecnica, la dea sociale che trasforma il principio di realtà nella commercializzazione della materia naturale ci fa vedere un bosco e al tempo stesso immaginarlo sotto forma di tavoli, armadi di legno, ecc..
La psichiatria fenomenologica indica come sia necessario liberare i malati dal manicomio (F. Basaglia) per restituire loro la volontà di vivere nel mondo libero per consentire, seppur curati dagli specialisti, al nuovo linguaggio poetico che cerca nell’anima espressioni di nuove etimologie.
Volontà non è dunque costrizione o esercizio al sacrificio, ma un desiderio profondo dell’anima, è la motivazione e voglia di vivere superando le inevitabili grandi difficoltà.
Roberto PaniSpecialista e professore di Psicologia Clinica e Psicopatologia
Alma Mater Sudiorum Università di Bologna,
Psicoterapeuta e Psicoanalista
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